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Smart city, il piano regolatore nascerà dai dati intelligenti

Mochi Sismondi: “Ad oggi non abbiamo il Piano nazionale delle comunità intelligenti e quindi neanche un rapporto annuale sulla situazione. Bisogna voltare pagina”

Pubblicato il 12 Ott 2015

Carlo Mochi Sismondi

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Il paradigma delle “smart city”, dopo essere stato un hype per un paio d’anni, rischia di evaporare senza mai essere stato messo davvero in pratica. Proprio ora che ci sarebbero, con la programmazione europea e con i bandi di Horizon 2020, anche un po’ di soldi. Cosa è successo in questi anni? Di fatto sono passate senza risultati tutte le scadenze imposte dall’art. 20 del D.L. 179/12 “Crescita 2.0” e nessuno dei compiti che l’AgID aveva a norma di legge è stato espletato, nonostante gli sforzi di molti soggetti, ANCI in primis. Così ad oggi non abbiamo il Piano Nazionale delle Comunità Intelligenti e quindi non abbiamo neanche un rapporto annuale sulla sua attuazione; non possiamo disporre delle “linee guida recanti definizione di standard tecnici, compresa la determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati delle comunità intelligenti, e procedurali nonché di strumenti finanziari innovativi per lo sviluppo delle comunità intelligenti”; nonostante non siano passati i 90 giorni concessi dalla legge, ma quasi tre anni, non abbiamo la piattaforma nazionale delle comunità intelligenti né tantomeno il famoso “statuto” con uno straccio di definizione di cosa deve garantire una città ai propri cittadini per essere considerata smart. Ma il punto è che – nonostante oggi sembri scemare l’attenzione non solo della politica ma spesso anche dei sindaci e, di conseguenza, delle grandi aziende tecnologiche – le nostre città hanno sempre più bisogno di essere smart. Un’intelligenza che non è nascosta nei singoli device o nelle singole applicazioni, ma nella capacità di costruire, condividere e usare la conoscenza. Amministrare e far evolvere un nucleo urbano ha infatti molto più a che fare con la gestione delle informazioni, dei dati, che con qualche gadget più o meno accattivante. Non si può governare il territorio senza conoscerlo e non si può diventare una vera responsive city (ossia una città in grado di mutare e crescere sulla base delle esigenze misurabili dei cittadini) senza poter contare su una “cultura del dato” e sulle competenze per trasformare il dato grezzo in informazione, e l’informazione in decisione. Questa è la ragione per cui abbiamo deciso di dedicare l’edizione di Smart City Exhibition proprio al tema dei dati. Si chiamerà “Citizen Data festival” e ciascuna delle tre parole ha un significato preciso:Citizen: perché la digitalizzazione dei processi, l’apertura dei dati, la gestione efficiente delle reti e degli ambienti interconnessi ci servono in quanto abilitano nuovi servizi per i cittadini e per le imprese e danno loro la possibilità di partecipare alle scelte e di condividere le soluzioni.

Data: perché solo attraverso la produzione, la liberazione, e l’utilizzo efficace dei dati, le città e i territori – caratterizzati ormai da un insieme di flussi informativi e reti di relazioni e comunicazioni, fisiche e digitali – sono in grado di gestire la complessità e di creare quindi capitale sociale e migliore qualità della vita. Festival: perché c’è bisogno che i protagonisti della data revolution facciano rete in ambienti informali e stimolanti in cui – attraverso panel, workshop, sessioni formative e momenti di networking – si incontrano i bisogni dei cittadini, le policy degli amministratori, le visioni degli esperti e le proposte del mercato.

È solo con questa centralità della conoscenza condivisa che le città e i loro cittadini potranno essere intelligenti. È solo con la partecipazione, la collaborazione, la cura dei beni comuni che questa conoscenza sarà fertile, produrrà un benessere equo e sostenibile e abiliterà le potenzialità di ciascun cittadino e di ciascuna impresa. Possiamo permetterci di dimenticarcelo per qualche stretta di cassa o per qualche miopia che ci fa dimenticare la stessa missione del “government”? Non credo. Anzi, è ora di darci una mossa.

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