Negli ultimi anni il Governo, anche grazie ai fondi Pnrr, ha annunciato diverse iniziative per rafforzare la competitività digitale dell’Italia. Una delle più recenti è la Strategia per l’attrazione di capitali esteri nei Data Center predisposta dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che individua strumenti per attrarre investimenti industriali in infrastrutture oggi cruciali per la gestione dei dati e dei servizi digitali.
Indice degli argomenti
Segnale di attenzione verso il settore
Come Consorzio Italia Cloud, che riunisce operatori nazionali del settore, vediamo in questo documento un segnale positivo di attenzione verso un comparto strategico. Allo stesso tempo, è spontaneo chiederci perché l’assunto alla base della strategia sia che gli investimenti debbano necessariamente provenire dall’estero, dando per scontata la mancanza di un’alternativa valida e vantaggiosa. Invitiamo invece a credere che un’alternativa nazionale sia non solo possibile, ma redditizia per il sistema Paese.
Inoltre, riteniamo che qualunque azione mirata allo sviluppo digitale, per la capillarità, rilevanza e trasversalità che lo caratterizza, vada pensata all’interno di una politica industriale complessiva per il digitale. Per trasformare singole iniziative in sviluppo duraturo serve una visione unitaria che tenga insieme infrastrutture, piattaforme, competenze e industria nazionale.
Il ruolo della domanda pubblica
Un ambito chiave in cui declinare queste tesi è quello che guarda alla domanda pubblica. La spesa pubblica in ambito digitale è già consistente e continuerà a esserlo. Una scelta strategica da considerare è quella di orientare queste risorse già previste -a saldo invariato, quindi- verso fornitori e soluzioni che rafforzino la filiera nazionale, creando un circolo virtuoso che alimenti innovazione, occupazione qualificata e autonomia tecnologica. In altre parole, usare la leva della commessa pubblica per far crescere competenze e capacità industriali nel Paese, senza aumentare la spesa complessiva.
Il documento ministeriale si concentra giustamente sulla semplificazione amministrativa e sulla creazione di condizioni attrattive per investitori esteri. Ma per essere pienamente efficace, questa strategia deve anche garantire che gli investimenti contribuiscano allo sviluppo dell’ecosistema italiano, evitando il rischio di trasformare il nostro territorio in semplice ospite di infrastrutture di proprietà e controllo straniero.
Sovranità digitale, la strada francese
Guardiamo a un paese a noi molto vicino, non solo geograficamente: in Francia vige dal 2024 una legge volta a rafforzare la sovranità digitale e indirizzare la spesa pubblica verso operatori nazionali o europei. Lo spirito della legge è chiaro ed è quello di limitare il più possibile un lock-in penalizzante per i servizi dello Stato. La norma ha lo scopo di eliminare i costi eccessivi e i vincoli alla migrazione ad altro operatore, garantire la massima interoperabilità e portabilità dei servizi cloud, aprire il mercato a una sana competizione e, soprattutto, fa entrare in gara gli operatori nazionali. Le amministrazioni pubbliche francesi, in particolare per dati sensibili, ora sono tenute ad affidarsi a fornitori certificati dalla loro agenzia nazionale, ovvero provider europei o francesi. Si favorisce così il “cloud souverain”: infrastrutture gestite in Europa che non dipendono da leggi esterne (come il Cloud Act), rafforzando la protezione legale e tecnica dei dati. Per le istituzioni e il Governo francesi, è evidente il potenziale circolo virtuoso derivante da un simile approccio: gli operatori nazionali stanno rafforzando la propria posizione e le competenze distintive, diventando addirittura competitivi su altri mercati. È un’opportunità a cui anche l’Italia ha tutte le carte in regola per aprirsi.
Lo sviluppo digitale non si esaurisce infatti nei Data Center: riguarda il cloud, l’intelligenza artificiale, la cybersecurity, le piattaforme di servizio, la capacità di integrare e valorizzare i dati pubblici e privati. Sono ambiti nei quali anche l’Italia possiede eccellenze industriali e tecnologiche diffuse sul territorio, spesso rappresentate da PMI altamente specializzate. Un’apertura indiscriminata a operatori globali senza meccanismi di integrazione rischia di comprimere lo spazio di crescita di queste realtà, con conseguente perdita di sovranità e di valore aggiunto nazionale.
L’impatto dei dazi
A livello europeo, il “terremoto” introdotto dai dazi commerciali degli Stati Uniti non preoccupa tanto per l’impatto sull’export di prodotti Made in Italy, che resteranno concorrenziali, quanto per la contropartita che l’UE sembra disposta a concedere sul fronte dei servizi digitali, rinunciando a una equa web tax. Significherebbe non solo garantire ai colossi globali una fetta del nostro gettito, ma anche consentire loro di non dover contribuire a generarlo, nonostante i guadagni assicurati dalle imprese del vecchio continente.
Fermiamoci a pensare, prima che sia troppo tardi.
L’appello al governo per un piani nazionale per il digitale
Per tutti questi motivi auspichiamo che il Governo, partendo da questo documento, sviluppi un piano nazionale per il digitale che tenga insieme attrazione di capitali, sostegno alla filiera nazionale, gestione sostenibile delle risorse e rafforzamento delle competenze. Un piano che ponga la sovranità digitale non come barriera protezionistica, ma come condizione per una crescita equilibrata e autonoma.
Come operatori del settore, siamo pronti a collaborare con le istituzioni per definire modelli di partnership pubblico-private che uniscano efficienza, sicurezza e prossimità delle infrastrutture ai cittadini e alle imprese. Il digitale è la spina dorsale dell’economia moderna: governarne lo sviluppo significa decidere oggi il posto che l’Italia avrà nella nuova geografia economica europea.