IL FOCUS

Viola: “Sì al Mercato unico digitale o la Ue resterà una nana”

Il direttore della Dg Connect della Commissione europea: “Se l’Europa resta ostaggio di 28 mercati differenti non raggiungerà una dimensione comparabile ai mercati di Cina e Usa e non sarà mai quel laboratorio che permette alle nostre aziende di competere globalmente”

Pubblicato il 28 Set 2015

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Ribadisce la centralità della Strategia sul Mercato Unico Digitale per sostenere crescita e occupazione, invita le telco ad evitare eccessive polarizzazioni sull’imminente riforma delle regole europee sulle tlc, accenna a nuovi target per l’Agenda Digitale post-2020, o ancora alle ricette per cavalcare tecnologie emergenti come IoT e Big Data. Fresco di nomina al vertice della Dg Connect della Commissione Europea, Roberto Viola discute a tutto tondo con il CorCom delle sfide e delle ambizioni digitali, sia presenti che future, con cui si confronta l’Europa.

Partiamo dalla Strategia per il Mercato Unico Digitale di cui a breve arriveranno le prime proposte legislative. Quale è l’ambizione?

La Strategia non è un semplice documento politico, bensì un piano che si concentra su azioni concrete. La sua importanza come strumento di crescita ed occupazione in Europa è cristallina. Se l’Ue resta ostaggio di ventotto mercati differenti non raggiungerà mai una dimensione comparabile ai mercati di Stati Uniti e Cina, non sarà mai quel laboratorio di innovazione e di idee che permette alle nostre aziende di competere sul piano globale. Su questo punto mi sembra che ormai vi sia unanimità tra i decisori nazionali ed europei. Però, come di consueto, tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo tutta la complessità dei negoziati in Europa. Speriamo che procedendo per priorità e azioni concrete e condivise si possa arrivare a risultati tangibili.

L’esperienza del pacchetto sul Mercato unico delle telecomunicazioni dimostra infatti che le “resistenze” nazionali e industriali possono quasi affossare un progetto di legge buono e diretto a una maggiore armonizzazione.

L’iter di discussione del Telecom Single Market è stato, al di là di tutto, molto istruttivo. E con l’accordo politico sul testo raggiunto a giugno da Parlamento, Commissione e Consiglio abbiamo comunque raggiunto un risultato per certi versi straordinario, sebbene sofferto e laborioso: l’abolizione del roaming dal 2017 e l’introduzione di regole comuni sulla net neutrality in Europa. Cosa che non è riuscita nemmeno agli Stati Uniti che hanno un ordine amministrativo della FCC ma come tale non ha la stessa forza di una legge.

Intanto si avvicina il momento di rimettere mano al framework europeo sulle telecomunicazioni (una proposta è prevista per il 2016). E qui l’antico braccio di ferro tra i difensori dell’attuale impianto pro-concorrenziale e gli ultrà della deregulation torna ad emergere.

Stavolta, però, la prospettiva è diversa. E’ molto più ampia. Il tema ha un interesse che va oltre gli operatori telecoms e le loro differenze di vedute. Il corretto funzionamento del mercato delle telecomunicazioni è centrale per tutto il Digital Single Market. Perché se non ci sono collegamenti a larga banda non ci sono nemmeno servizi digitali. Ma la posta è ancora più alta, perché interessa tutti quei settori che si stanno trasformando con il digitale. Un confronto su questi temi dovrebbe prendere il posto del solito dibattito da bottega tra chi chiede più competizione e chi più deregolamentazione.

Dibattito che però sarà comunque presente.

Uno scenario in cui sia presente molta competizione e pochi investimenti, o viceversa molti investimenti poca competizione, è spia di un malfunzionamento. Occorre, quindi, trovare un equilibrio dinamico tra i due: dove ci sono tecnologie più mature è chiaro che ci si aspetta regole più stringenti per garantire il level playing field; dove ci si muove nell’alta tecnologia, in un terreno inesplorato anche per quanto riguarda l’utente, sono necessari maggiori incentivi all’innovazione e agli investimenti.

La Commissione ha appena lanciato una consultazione sul bisogno di connettività oltre il 2020. State già valutando l’introduzione di nuovi e ambiziosi target per la banda larga oltre quelli dell’Agenda Digitale per l’Europa?

In tema di connettività bisogna avere ambizione e guardare lontano. L’Europa ha già raggiunto una diffusione pressoché completa dell’Internet di base e sta rapidamente raggiungendo quella dell’NGA di base. Ora proviamo a spostare il dibattito sul futuro e cominciamo a domandarci se non sia necessario introdurre, ad esempio, degli obiettivi sulle reti mobili, oggi non presenti nella Agenda Digitale, o se non occorra spingersi oltre i 100 megabit per secondo.

Il boom di di IoT, Big Data e internet industriale contribuirà certamente in futuro ad accrescere il bisogno di connettività. Cosa si sta facendo affinché l’Europa cavalchi questi settori emergenti?

Stiamo investendo molto nei programmi di ricerca come Horizon 2020, e abbiamo avviato importanti partnership industriali. Lo stesso si può dire per altri importanti settori: robotica, 5G, microelettronica. Questi sono gli elementi della nostra competitività del futuro. Ed è proprio qui che occorre più Europa. Sull’IoT, ad esempio, l’Europa non si deve fare trovare impreparata e né pensare a soluzioni pasticciate come utilizzare numerazioni nazionali in maniera confusa.

Un’ultima battuta sulle accuse di “protezionismo digitale” rivolte all’Europa, riguardo l’ipotesi di regolamentare le piattaforme o ancora il caso Google.

Se c’è una regione del mondo aperta alla competizione e ai servizi questa è proprio l’Europa. Possediamo la regolamentazione in materia di tlc più aperta del mondo. Per quanto riguarda la proprietà delle imprese di telecomunicazione e in generale delle imprese dell’ecosistema internet non ci sono particolari restrizioni. Non ultimo: i programmi di ricerca europei sono aperti a tutti. Se qualcuno pensa che l’Europa sia diventata una fortezza mi pare che non abbia gli elementi fattuali per provarlo. Se si guarda alle quote di mercato degli operatori di internet americani in Europa ci si rende conto che qui non c’è nessun ostacolo. E se si vuole insinuare un nesso con i casi di abuso di posizione dominante in corso, ricordo che l’applicazione delle regole della concorrenza da parte della Commissione è da sempre una funzione altamente indipendente che non può certo essere tacciata di condizionamenti politici.

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