Social lending, Biffi: “Per l’Italia una vera boccata d’ossigeno”

Il vicepresidente di Piccola Industria Confindustria: “L’apertura del prestito P2P alle Pmi può rappresentare una potente spinta innovativa per il mondo delle banche tradizionali”

Pubblicato il 24 Mag 2015

Patrizia Licata

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ll social lending, nato sul mercato consumer, si affaccia al mercato delle piccole imprese e si presenta come una realtà consolidata nei Paesi anglosassoni e in grande fermento in Europa continentale. Ma è un sistema valido di erogazione del credito per le piccole imprese? A risponderci è Alvise Biffi, vicepresidente di Piccola Industria Confindustria. In Italia il fenomeno è ancora poco conosciuto dalle imprese: “Anche per questo – dice – l’offerta si è concentrata sui privati. Il prestito alle imprese richiede anche valutazioni del merito più stringenti che complicano la piattaforma hitech e aumentano i costi per i player; in più c’è un problema di volumi, perché le aziende, anche piccole, hanno bisogno di prestiti dai 50.000 euro a salire, mentre le piattaforme italiane viaggiano in media su un massimo di 25.000-30.000 euro di prestito”.
Eppure in Uk Funding Circle è uno dei primi cinque prestatori delle piccole imprese. Niente di simile può accadere in Italia?
Il fatto che al momento il social lending italiano non serva direttamente le imprese non vuol dire che non abbia potenzialità. Al contrario: un social lending ben funzionante in Italia farebbe bene al mercato del credito perché sarebbe un potente competitor per le banche tradizionali che imporrebbe un forte cambiamento. Le spiego: i siti del social lending oggi prestano solo a privati, e anche con criteri restrittivi. Non creano dunque un nuovo canale per soddisfare il bisogno delle imprese a basso rating o “rischiose” che faticano a ottenere prestiti dalle banche. Tuttavia il social lending, con la sua erogazione rapida e le sue condizioni vantaggiose, potrebbe andare a catturare le imprese più virtuose; i nostri player, aumentando capacità e volumi, potebbero arrivare a competere con le banche sui loro clienti migliori. A questo punto le banche dovranno o offrire condizioni di prestito simili a quelle del social lending, ma questo sarebbe poco sostenibile per una banca tradizionale che ha costi molto più alti, oppure essere più disponibili con le imprese con più basso rating – ed ecco che l’intero sistema ne beneficia.
Dunque il trend finirà con lo scardinare i modelli di business della finanza tradizionale?
Il social lending dà condizioni che le banche non possono eguagliare, è ovvio: sono pure play del digitale. Le banche dovranno andarsi a cercare altre fette di mercato e anche migliorare le loro competenze digitali, rispondere all’innovazione rinnovandosi. Bisognerà però vedere in futuro se prevarrà l’attuale deregulation o interverrà il legislatore: più il social lending si trasforma in un servizio simile a quello delle banche più il legislatore tenderà a imporre controlli e questo potrebbe limitare la capacità dirompente del social lending.
Per uscire dalla nicchia in Italia potrebbero esserci opportunità nel mercato dei crediti e delle fatture?
A livello teorico le potenzialità qui in Italia sono enormi, perché soffriamo di ritardi nei pagamenti delle fatture nel B2B. Ma se la domanda è alta, anche i rischi potrebbero esserlo. D’altro canto, l’anticipo fattura è uno strumento già offerto dalle banche, le nostre imprese lo conoscono bene, e se emergesse un player P2P che lo offre a condizioni più convenienti avrebbe sicuramente buon gioco. Ma ancor di più io punterei sull’equity crowdfunding: è già regolato dalla Consob e può essere un ottimo veicolo di credito per le Pmi innovative. Nel breve termine, in Italia mi sembra questo lo strumento più agevole per le piattaforme Internet per aggredire il mercato della finanza innovativa: è utile e importante e va potenziato, anche rimuovendo alcuni ostacoli nella regolamentazione.

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