IL PIANO

Industria 4.0, a rischio bonus per la formazione

Stando a quanto risulta a CorCom il governo punta ad abbassare il credito di imposta al 40% e testarlo per un anno. Per i competence center a disposizione solo i 30 milioni non spesi e stanziati lo scorso anno

Pubblicato il 19 Ott 2017

Federica Meta

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A rischio le risorse della formazione 4.0. Stando a quanto risulta a CorCom nell’ultima bozza del Mise vengono ridimensionati gli sconti per le imprese che investono in formazione così come quelli destinati ai competence center. A frenare Calenda i conti fatti dalla Ragioneria dello Stato: il credito di imposta al 50% per il 2018-2020) per le spese fino a 1 milione di euro costerebbe troppo allo Stato 390 milioni nel 2019, 428 milioni nel 2020 e 484 nel 2021. Il governo sarebbe orientato dunque a ridimensionare il credito portandolo al 40% ed erogandolo solo nel caso in cui le imprese facciano la stessa formazione fatta nella media dei tre anni precedenti. Inoltre si starebbe pensando a testare il bonus per un anno.

A rischiare grosso anche i competence center per i quali non sono previste risorse nuove così come il finanziamento degli Its (istituti tecnici superiori), le scuole superiori candidate a formare i lavoratori 4.0. Se non arriveranno integrazioni nei passaggi parlamentari di apporovazioned el ddl, il rischio è che i bandi per i competence center, attesi per la fine di novembre, dovranno accontentarsi dei 30 milioni avnazati dalla scorsa manovra.

Una battuta d’arresto nel roll out del piano Industria 4.0 che un mese era stato rilanciato dal ministro Calenda e ridefinito piano Impresa 4.0, proprio a sottolineare la volontà di aprire la fase 2 del programma quella, appunto della formazione e del lavoro. Con un forte assist del Miur. “Quella che fino a oggi è stata chiamata “industria 4.0” dovrà trasformarsi nel 2018 in “impresa 4.0”, “Lavoro 4.0” e “Formazione 4.0”, diceva Calenda.

In quell’occasione la ministra Fedeli aveva evidenziato la necessità di “riallineare complessivamente, tutti insieme, le competenze e la formazione, mantenendo un rapporto più diretto con le innovazioni che vengono dal sistema delle imprese. Oggi viviamo una contraddizione, rischiamo di formare studentesse e studenti che se non avranno alcune competenze particolarmente innovative alla fine del loro percorso di studi potrebbero non avere un rapporto con il sistema dell’economia reale. Dobbiamo essere capaci di leggere anche l’imprevisto, per anticipare alcuni processi e governarli, senza subirli. Il punto che ci unisce è che stiamo costruendo concretamente, non solo come visione, una società e un’economia della conoscenza”.

E anche il Parlamento ha evidenziato l’urgenza di investire nelle skills. Le conclusoni dell’indagine conoscitiva svolta dalla commissione Lavoro del Senato su “L’impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale” focalizza l’attenzione proprio sul tema.

“Unanime è la consapevolezza delle opportunità e dei pericoli impliciti nelle nuove tecnologie e la convinzione che la prevalenza delle prime dipenderà dalla azione dei decisori istituzionali e dalla capacità contrattuale delle organizzazioni sociali – ha spiegato a CorCom, il presidente Maurizio Sacconi – ‘Meno legge, più contratto’ si dice nel documento in ragione della velocità del cambiamento. Lo stesso fondamentale diritto all’apprendimento non può che avere caratteri promozionali ovvero rendersi effettivo nelle concrete circostanze di azienda, di filiera o di territorio, anche sulla base dello stimolo di rinnovati fondi interprofessionali per la formazione. Tocca alla legge garantire diritti fondamentali come l’equo compenso del lavoro, tanto dipendente quanto indipendente, o il diritto alla disconnessione. Istituzioni e parti sociali hanno il dovere di offrire opportunità affinché ciascuna persona si faccia “solida nella dimensione liquida” del nuovo mercato del lavoro”.

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