Dall’editoria alle reti mobili. Tutti contro Google

Editori e carrier puntano il dito contro BigG. Si profilano nubi sul futuro del suo business?

Pubblicato il 05 Mar 2010

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Nel 1998 era solo l’idea di due giovani – Larry Page e Sergey
Brin – appena laureati. Oggi è la più grande Internet company
del mondo. In 12 anni, infatti, Google è cresciuta come
nessun’altra azienda della Rete e – solo per dare qualche
numero – nel quarto trimestre del 2009 ha registrato un fatturato
di 6,67 miliardi di dollari con una crescita del 17% rispetto allo
stesso periodo dello stesso anno. Le cose, dunque, vanno bene.
Eppure Google – come ogni colosso che si rispetti – è sotto
assedio. Negli ultimi mesi istituzioni pubbliche, competitor, mondo
finanziario, mercato, tutti stanno puntando il dito contro BigG. I
motivi sono diversi e oggi hanno portato Google a “combattere”
su otto fronti. Che – per la prima volta nella sua storia –
fanno apparire delle nubi sul futuro del suo business.

Italia
Partiamo dal nostro paese. Dove il 24 febbraio il tribunale di
Milano ha condannato Google (in quanto proprietaria di YouTube) per
aver pubblicato il video di un bimbo autistico picchiato a scuola:
a tre dirigenti del gigante di Mountain View sono stati inflitti
sei mesi con la condizionale per violazione della privacy. Una
sentenza che ha fatto molto rumore tanto che in difesa di BigG si
sono mossi addirittura Hillary Clinton e l’ambasciata Usa in
Italia. E che se rimarrà confinata in Italia non creerà grossi
problemi a YouTube. Ma se anche in altri paesi passasse la linea
secondo cui YouTube deve visionare tutti i filmati prima di
pubblicarli, il colpo per Google sarebbe fortissimo, con il rischio
di chiudere l’upload dei video in alcuni mercati.

Europa
Se in Italia c’è qualche frizione, la situazione è critica
anche in Europa. Dove la Commissione ha di recente messo BigG sotto
la lente di ingrandimento. Per due ragioni. La prima riguarda
sempre la privacy. L’Europa ha infatti bacchettato Google per
Street View, il servizio dentro le sue mappe che permette di vedere
le strade con immagini panoramiche, chiedendogli di ridurre a sei
mesi (ora è un anno) il tempo di conservazione delle foto e di
ritoccare “pesantemente” le foto in cui appaiono delle persone
per garantire la loro riservatezza. La seconda ragione coinvolge
l’Antitrust che sta studiando possibili pratiche
anticoncorrenziali nel settore dei motori di ricerca. Per ora non
c’è alcuna sanzione all’orizzonte ma la questione rimane
aperta anche dopo le recenti dichiarazioni ufficiali di Microsoft
che invita la commissione a studiare il caso Google, per evitare
che blocchi alcuni mercati con le sue politiche.

Cina
A gennaio Google aveva minacciato di “uscire” dalla Cina dopo
l’ennesimo attacco alle caselle di posta di Gmail da parte di
pirati informatici, secondo BigG al soldo della censura di Pechino.
Sono passate diverse settimane e quella che sembrava (anche) un
atto di ribellione per la libertà in Rete è rimasta solo una
dichiarazione. Nel frattempo, infatti, Google non ha bloccato le
assunzioni di 40 nuove persone nei suoi uffici cinesi e non sembra
intenzionata a lasciare un mercato da 300 milioni di potenziali
clienti. Neanche se – come prevedibile – il governo cinese, che
ha il coltello dalla parte del manico, non gli farà alcuno sconto
eliminando i suoi filtri censori.

Editoria
Ormai sono mesi che Rupert Murdoch è il rappresentante di (quasi)
tutti i principali gruppi editoriali del mondo in un attacco
frontale a BigG. L’accusa: “Google fa i soldi con i nostri
contenuti”. Ma quella che sembrava una battaglia commerciale
potrebbe ora spostarsi in tribunale. Secondo il New York Magazine,
infatti, il tycoon australiano è pronto a denunciare Google se non
riusciranno a trovare un accordo che porti parte dei soldi
guadagnati con la pubblicità dal colosso di Mountain Vew nelle
casse di News Corporation.

Reti broadband
Per Google rischia di aprirsi anche il fronte con gli operatori di
telefonia fissa: rimproverano a bigG di approfittare dei loro
investimenti nelle reti a banda larga per fare soldi con la
pubblicità lasciando le telco all’asciutto. È stato il ceo di
Vodafone, Vittorio Colao, ad aprire ufficialmente la campagna
approfittando della vetrina offertagli dal Mobile world congress di
Barcellona: “Gli operatori hanno bisogno di accedere a nuove
forme di ricavi dalle proprie reti, soprattutto in segmenti come la
pubblicità, ma ciò non è al momento possibile perché non viene
garantita la concorrenza. L’“80% della pubblicità online viene
convogliato nell’unico imbuto di Google”.

Telefonia mobile
Quando, alla fine del 2007, il consorzio Open Handset Alliance –
di cui Google fa parte – annunciò lo sviluppo di Android, un
sistema operativo open source per telefonini, analisti e stampa si
affrettarono a sentenziare che il “Googlefonino” avrebbe
rivoluzionato il mercato degli smartphone. Non è andata così.
Almeno finora. Le vendite stanno andando discretamente ma non
benissimo. Secondo i dati di febbraio di Gartner, gli smartphone
Android, infatti, hanno una quota di mercato del 3,9%, ancora
lontana da quella di Symbian (46,9%, in discesa), Rim (19,9%) e
iPhone (14,4%).

Social Network
Il vero tallone di Achille di Google sono i social network. Negli
anni ha provato, senza particolare successo, a lanciarne uno tutto
suo per spodestare il primato prima di MySpace e ora di Facebook,
che hanno – rispetto a Google – una buona quantità di dati in
più sui loro utenti (utilissimi in pubblicità). Orkut ha infatti
deluso le aspettative e oggi è un social network di discreto
successo solo in Brasile e India, dove praticamente registra tutto
il suo traffico. Ora, quindi, ci riprova con Buzz (e con
l’impressione di aver accantonato velocemente Wave). Ma le prime
impressioni del nuovo social network made in Google non sono delle
migliori: gli utenti non vedono di buon occhio – per motivi di
privacy – la profonda integrazione con Gmail e i suoi contatti.
Una mossa che nei piani di Google doveva essere vincente: un social
network nuovo di zecca con una base utenti di oltre 100 milioni di
utenti. Che però finora non sembrano aver gradito un servizio non
richiesto.

Wall Street
Al centro di tutti questi attacchi, Google ha registrato una
flessione anche in Borsa. “Colpa” anche del recente annuncio di
voler portare Internet a 1 Gigabit al secondo a 500mila americani:
un progetto da due miliardi di dollari. Ma non è per il valore
economico dell’impresa che Wall Street guarda con diffidenza a
Google nelle ultime settimane. I continui annunci di nuovi servizi
stanno facendo credere ad alcuni analisti (e al mercato) che Google
sia in affanno non avendo chiaro il futuro del suo attuale (e più
profittevole) business: la pubblicità. Con la conseguenza che
dall’inizio dell’anno le azioni sono calate del 14% contro una
media del -3%.

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