SENTIERI DEL VIDEO

Fine dell’industria (italiana) dei televisori

A Milano chiude la Mivar, ultima fabbrica italiana di tv. Nel nostro Paese si paga la mancanza di innovazione

Pubblicato il 01 Nov 2013

Enrico Menduni, Professore di Media e Comunicazione all’Università Roma Tre

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A Milano chiude la Mivar, ultima fabbrica italiana di televisori. In realtà, da anni mero assemblaggio di componenti comprate in estremo Oriente. La coincidenza delle date parla dell’avvento del digitale, dell’arrivo degli schermi piatti e della fine del tubo catodico; o della televisione analogica se preferite. Nel 2001 la Mivar aveva inaugurato uno stabilimento ultramoderno, mai utilizzato proprio perchè il cambio di tecnologia taglio l’erba sotto i piedi alla ditta. Una storia italiana: il fondatore Carlo Vichi, grossetano di origine e milanese di adozione, figlio di un metronotte, che nel 1945 (come la Sony) inizia a produrre piccoli apparecchi radio col marchio Var, poi diventa Mivar nel 1955 quando la tv è ormai un fenomeno in grande crescita, e arriverà (http://www.mivar.it/storia.htm) ad occupare 800 dipendenti negli anni Settanta.

I giapponesi intanto avevano cominciato ad esportare in Europa le componenti elettroniche che prima le fabbrichette dell’indotto, nella campagna urbanizzata di Lombardia, producevano per i marchi italiani. Nel mezzo ci sono il passaggio dalle valvole ai transistor, i circuiti stampati, il telecomando a infrarossi. I produttori italiani, dalla popolare Mivar alla raffinata Brionvega, adottavano i nuovi dispositivi, reagendo ad un mercato che si evolveva, ma senza un effettivo apporto tecnologico. Diventavano, senza accorgersene, stabilimenti di montaggio. Ma questa è anche la storia dell’incapacità italiana di passare serenamente alla tv a colori, considerata un lusso o uno strumento del peccato, e massacrando così l’industria elettronica nazionale proprio in quegli anni Settanta, all’insegna dell’austerità. Ugo La Malfa e Enrico Berlinguer hanno, fra tanti meriti, questa grave responsabilità. Carlo Vichi, oggi novantenne, dichiara che la fabbrica non morirà, produrrà tavoli per mense e scuole, e si lancia in dichiarazioni di ottimismo. Difficile crederci, e un po’ di senso della misura e della realtà dovrebbe esserci anche in un orgoglioso self-made man.

Come si può pensare di resistere così a lungo senza ricerca, senza alleanze internazionali, con un solo prodotto? Sfogliando il catalogo (http://www.mivar.it/index.htm) troviamo solo un tv set a schermo piatto, prodotto in sei versioni tra 19 e 40 pollici. Nulla della valanga di prodotti innovativi o comunque necessari (set top box, epg, dock per smartphone, home theater) che ci vengono continuamente proposti; nulla di portatile, mobile, personale, tascabile, wireless. Di fai-da-te si può morire. Qualche volta la crisi italiana è anche una crisi da orgoglio e con qualche supponenza.

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