DIGITAL INFLUENCER

John Della Volpe: “Chi trova un amico trova un biz”

Il fondatore di SocialSphere: “Per le aziende i digital influencer diventeranno più
importanti dei professionisti del marketing. La sfiducia nella politica e nelle istituzioni sposta l’interesse verso chi nella Rete posta contenuti in linea con i propri gusti e opionioni”

Pubblicato il 23 Feb 2014

Luciana Maci

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«I digital influencer diventeranno più potenti delle agenzie di advertising». È la previsione di John Della Volpe, direttore del Dipartimento di Statistica presso l’Istituto di Scienze Politiche dell’Università di Harward nonché founder e managing partner di SocialSphere, società americana specializzata nella definizione di strategie sui social media per le aziende. I digital influencer, ossia persone note sulla Rete e in particolare sui social, hanno il “potere” di orientare gusti e preferenze e per questo è su di loro che sono puntati i riflettori. “Il fenomeno è al momento ancora agli albori – prosegue – e pochissime aziende sono in grado di individuarli e sfruttarne le potenzialità. Eppure i digital influencer sono estremamente ‘convenienti’ in termini di popolarità ma anche di costi e, a mio parere, più efficaci degli esperti di marketing tradizionale, perché qui c’è in ballo la fiducia personale”.
Quando è iniziato questo trend?
Con SocialSphere già cinque anni fa spiegavo alle aziende perché era necessario essere su Twitter. Adesso che motilissimi navigano sui social, il prossimo step è investire nelle cosiddette listening tecnologies, tecnologie di ascolto, cioè ascoltare quello che dice la gente. La terza ‘onda’ è capire chi sta ascoltando chi, e quindi per l’appunto chi sono i digital influencer. Ma al momento sono pochissime le aziende che dispongono di sofisticati programmi di ‘ascolto’.
Come si riconosce un digital influencer?
Si riconosce essenzialmente da tre caratteristiche: innanzitutto si focalizza su un particolare argomento o al massimo su un paio. Nel mio profilo personale su Twitter scrivo di sport, politica e social media e ho un differente livello di influenza in base all’argomento che tratto. Seconda cosa: è collegato con altri influencer. Ad esempio: se voglio essere influente nella politica a Boston devo essere connesso con il tweeting, con i commenti e con il re-tweeting di altri utenti, e sviluppare una relazione. La gente vuole essere riconosciuta: un modo per incrementare i propri fan è ‘riconoscere’ le persone. Terza cosa: il digital influencer è colui che crea contenuti utili agli altri, quindi contenuti di qualità, perché se i contenuti non sono creativi e innovativi ossia non si distinguono dalla massa, nessuno li troverà interessanti e non circoleranno abbastanza.
Quanto sta crescendo il potere di questi utenti?
Partiamo dal presupposto che oggi soprattutto i giovani hanno scarsa fiducia nella politica così come nelle istituzioni. Ciò sposta l’interesse verso altri soggetti, tipicamente verso persone di cui si ha fiducia.Ecco allora che una recensione da parte di una persona amica vale molto di più di quella postata da utenti anche apparentemente influenti.
Twitter va per la maggiore: qual è la quantità di follower che fa la differenza?
No, non c’è un numero spartiacque: si possono avere poche migliaia di follower ma generare un’audience di milioni di persone attraverso il meccanismo dei like, delle condivisioni e dei re-tweet. Ci sono utenti che, invitati all’anteprima di un film, postano il loro commento e questo genera sei o sette milioni di ‘impressioni’.
Tradotto in soldoni cosa significa?
Non è facile dire con precisione quanto può ricavare una casa cinematografica da sette milioni di ‘impressions’ sul web. Non c’è una formula standard, bisogna analizzare caso per caso. Si può però fare un confronto con quanto sarebbe costato a quella stessa casa cinematografica allestire una campagna pubblicitaria offline. Analizziamo ad esempio i costi di un cartellone pubblicitario su un’autostrada e valutiamo quante ‘impressions’ è in grado di catturare quel cartellone. Se lo studio ha speso una determinata cifra per la cartellonistica in grado di attrarre sette milioni di impressions, è quanto valgono i sette milioni di impressions sul web. La criticità è che il cartellone è ancora top-down communication, cioè comunicazione dall’alto verso il basso. Ha molto più valore la circolazione delle opinioni sul web perché c’è un valore aggiunto, quello dello scambio di opinioni tra pari e in linea orizzontale, non verticistica.
Qualcuno sostiene che ci sono utenti pagati per postare commenti e opinioni. Insomma “amici” fino a un certo punto.
È nella natura dei digital influencer non essere retribuiti, se non, simbolicamente, con l’ingresso gratuito a una prima a teatro o con biglietti per una partita di baseball o anche informazioni riservate sul mondo dello sport, in base appunto agli argomenti che trattano in Rete. Talvolta le aziende trovano il modo di ‘inglobare’ alcuni digital influencer ad esempio incaricandoli della gestione dei social network. Questo può capitare. Ma di fatto gli unici digital influencer pagati dalle società, a volte anche migliaia o decine di migliaia di dollari per post, sono le celebrities. È qualcosa che ormai esiste, è radicato nel business tradizionale e non può essere gestito in modo diverso. Società come SocialSphere non possono intervenire in alcun modo in questo segmento di mercato. Invece possiamo fare qualcosa di non tradizionale: individuare i milioni di persone con centinaia di migliaia di follower in grado di aiutare le aziende a farsi conoscere.
Chi sono i digital influencer più famosi negli Usa e quali aziende hanno cominciato a contare su di loro?
Sono persone del tutto ‘normali’. Le società più interessate sono quelle sportive come la National Football League e la National Hockey League o brand come Oreo (il famoso biscotto commercializzato in Italia da Saiwa, ndr) che ha fatto un gran lavoro nel monitorare le reazioni dei consumatori. Lo fanno anche studi cinematografici come la Paramount Pictures: cercano le persone più influenti in Rete e le invitano alle prime dei film. Perché sanno che se quella persona vede quel film, decine di migliaia di altre persone ne verranno a conoscenza da una fonte che loro considerano affidabile.
Pensa che le aziende dovrebbero dunque mettere a punto strategie per diventare esse stesse digital influencer?
Sì, perché è uno strumento cost effective e aiuta a risparmiare: non c’è bisogno di creare un team all’interno dell’azienda per sviluppare relazioni in Rete ed è molto più efficace dei media tradizionali, in quanto basato la fiducia reciproca è in grado di pagare molto di più.

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