P2P, dove finisce la privacy e comincia il copyright?

Navigazione in Internet, serve un riordinamento del settore

Pubblicato il 14 Set 2009

La vicenda del sito Pirate Bay offre lo spunto ad Alessandro di
Majo sul quotidiano Il Sole 24 Ore per riflettere sull’annosa
questione dello scambio di file su Internet. Fino a che punto è
ammissibile per il popolo della Rete appropriarsi del materiale
altrui col sistema del peer to peer e dove inizia la violazione
di copyright?

In attesa della pronuncia della Cassazione sull’oscuramento di
Pirate Bay, “da cui si possono scaricare gratuitamente file (il
tribunale di Stoccolma ad aprile ha condannato a un anno di
carcere e a una multa da 2,7 milioni di euro i gestori e un
finanziatore del sito)”, spiega di Majo, si riapre la nota
“querelle tra privacy e copyright”. “La giurisprudenza
italiana (soprattutto capitolina) non sembra avere raggiunto un
indirizzo univoco”, secondo il giornalista del Sole: se nel
2006, in tema di diffusione di brani musicali attraverso il peer
to peer, il tribunale civile di Roma ha decretato il diritto da
parte del detentore di copyright di ottenere dal provider i dati
anagrafici degli assegnatari di indirizzi Ip, nel 2007 lo stesso
tribunale ha deciso in senso contrario, in nome della privacy dei
consumatori.

“Per contrastare il fenomeno non rimane alle software house e
alle case discografiche che agire contro le aziende che
sviluppano i programmi di scambio dei file, senza intaccare il
'diritto alla riservatezza dei consumatori che operano sulla
Rete in presunzione di anonimato’ (così il tribunale di
Roma)”, riporta di Majo. Che auspica “un intervento
chiarificatore tale da mettere ordine in un settore, come quello
della navigazione via Internet, ove, data la mobilità di ogni
bene e prodotto, non più ancorato a materia, i diritti
proprietari (come sono quelli dell’autore) rischiano di
risultare del tutto vanificati, visto che la loro utilizzazione
non è più controllabile”.

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