IT MEDIA CONSULTING

Preta: “La Rai faccia i conti con il futuro”

Secondo il direttore generale di IT Media Consulting la crisi che attraversa la tv pubblica non nasce solo dall’invadenza dei partiti: “L’innovazione sia al centro di nuove strategie. L’azienda deve decidere se collaborare o competere con Apple, Google e Amazon”

Pubblicato il 06 Feb 2012

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Una delle opinioni più diffuse tra gli addetti ai lavori e gli appassionati del genere è che la Rai sia in difficoltà a causa dell’invadenza della politica. Una tesi che trova una comoda sponda negli eventi degli ultimi giorni, ma che si limita a fotografare solo uno degli ostacoli che l’azienda deve superare. Augusto Preta, direttore generale di ITMedia Consulting e presidente dell’Italian Chapter dell’international Institute of Communications, guardando al futuro della Tv pubblica vede anche altre urgenze: “Gli ultimi fatti dimostrano la necessità di una revisione della governance – afferma -. La Rai avrebbe soltanto da guadagnare se potesse essere svincolata dai partiti. Si tratta di una condizione necessaria e auspicabile, ma non sufficiente per il rilancio: il problema chiave è la mancanza di strategie, di un progetto che la proietti da protagonista in un contesto che cambia velocemente”.
Professor Preta, come analizza lo stato e le prospettive della Rai?
Bisogna prendere atto che oggi il sistema televisivo, nelle sue componenti tradizionali, non cresce più. E che in questo campo la Rai ha visto erodersi le sue quote di mercato a causa di scelte che l’hanno messa in difficoltà rispetto ai suoi competitors. Basti citare il digitale terrestre: mentre Mediaset è sbarcata in questo campo investendo e mettendo le basi per entrate aggiuntive, inserendo nell’offerta anche pacchetti a pagamento, la Rai ha semplicemente trasferito la sua offerta sulla nuova piattaforma, con alti costi legati alla doppia trasmissione e con i canali a disposizione che aumentavano mentre le risorse diminuivano, in più abbandonando il pacchetto Sky che costituiva un’entrata sicura. Questo ha causato pesanti perdite economiche e di quote di mercato. Il nuovo management dovrebbe considerare chiuso questo capitolo, e definire nuove strategie che portino l’azienda a essere protagonista sulle nuove piattaforme, con prodotti e contenuti che mirino a qualità e innovazione.
C’è spazio per chi voglia essere presente nei nuovi scenari della Tv?
I giganti sono già in campo: Apple, Google, Amazon, Samsung, Sony, Microsoft con l’XBox e Nintendo con Wii. Si potrebbe entrare in concorrenza con loro, oppure di dare vita a una strategia di collaborazione, ma in un quadro che definisca chiaramente obiettivi e mezzi, compatibilmente anche alla missione di un servizio pubblico, raggiungere i cittadini attraverso tutti gli apparati disponibili.
Giorgio Gori propone una Rai divisa in due: una parte che si finanzia con il canone, e l’altra attraverso il mercato pubblicitario. È praticabile?
Di certo contribuirebbe a fare chiarezza, perché consentirebbe all’azienda di scindere le scelte adottate nell’ottica del servizio pubblico da quelle fatte in chiave commerciale. È una soluzione che potrebbe essere coerente con i nuovi scenari, purché il management decida di affrontare il futuro cogliendo le nuove opportunità che l’evoluzione tecnologica e il mercato offrono. Si potrebbe fare un paragone con quanto accade nel dibattito nazionale con l’Agenda digitale europea e il diritto d’autore in rete: le decisioni sono prese più nell’ottica di risolvere un problema che in quella di cogliere un’opportunità. Un atteggiamento “passivo” nei confronti del nuovo che non aiuta a trarre vantaggio dall’innovazione, considerata soprattutto come un rischio, e porta spesso a trovare accordi occasionali slegati dal contesto.
Come si stanno muovendo i competitor della Rai e i servizi pubblici di altri paesi?
Tutta la Tv “tradizionale”, legata al broadcasting e al modello classiso dell’integrazione verticale, sta prendendo consapevolezza del problema. In Italia Sky parte da una base più evoluta, Mediaset ha iniziato a operare, e anche nel resto dell’Unione europea, con i limiti e le difficoltà del momento, ad esempio Bbc, Itv e Tf1 si muovono con strategie coerenti. L’approccio è più spregiudicato dove tradizionalmente il broadcasting è meno importante, come negli Usa, dove nascono fenomeni nuovi legati a soggetti non tradizionalmente “televisivi” (Netflix, Amazon, Hulu), facilitati in un approccio “multi-piattaforma”. In Italia usciamo ora dallo switch-off sul digitale terrestre e dall’ubriacatura ideologica che ne è seguita.
È il tempo di individuare nuove prospettive per l’industria italiana dei contenuti, nel cui ambito la Rai possa svolgere quel ruolo centrale – “la più importante industria culturale del paese” – che nell’ultimo decennio ha indubbiamente perduto.

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