IL CASO

Multa antitrust da 1 miliardo, per Intel è l’ora della verità

La Corte di Giustizia europea sta per pronunciarsi sulla maxi-sanzione per abuso di posizione dominante inflitta dalla Commissione nel 2009. La sentenza avrà ripercussioni sui casi Google e Qualcomm

Pubblicato il 04 Set 2017

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E’ questa la settimana decisiva per la multa-record inflitta a Intel dalla Commissione europea nel 2009 (1,06 miliardi di euro) per abuso di posizione dominante e pratiche anticoncorrenziali: la Corte di giustizia europea si pronuncerà infatti sul caso indicando se e a quali condizioni sono leciti in Ue quegli “sconti esclusivi” che Intel considera prassi standard di un’industria estremamente competitiva ma che la Commissione ha giudicato contrari alle norme antitrust.

Intel aveva perso nel 2014 l’appello contro la decisione dell’antitrust europeo; tuttavia la sentenza del tribunale d’appello è stata respinta dalla Corte di giustizia Ue perché occorre dimostrare che gli incentivi offerti dalle aziende per favorire i propri prodotti siano effettivamente un danno ai concorrenti.

L’Ue aveva multato Intel nel 2009 sostenendo che, tramite l’offerta di prezzi molto scontati, l’azienda si era garantita da alcuni produttori di computer – Dell, Hp, Lenovo e Nec – che usassero quasi solo processori Intel a bordo, mentre tre produttori — Hp, Acer e Lenovo — avrebbero bloccato il lancio di prodotti con i processori della rivale Amd. “Per tutto il periodo ottobre 2002-2007 Intel ha avuto una posizione dominante nel mercato mondiale dei Cpu (microprocessori) x86, per almeno il 70% della quota di mercato”, indicava allora la Commissione, ritenendo “che Intel abbia fatto ricorso a due specifiche forme di pratiche illegali. Primo, ha dato sconti integralmente o parzialmente occulti a fabbricanti di computer a condizione che le acquistassero la totalità o la quasi totalità dei processori x86 di cui avevano bisogno e ha effettuato pagamenti diretti in favore di un grande distributore a condizione che questo vendesse esclusivamente computer dotati di processori x86. Secondo, Intel ha effettuato pagamenti diretti a favore di fabbricanti di computer allo scopo di arrestare o ritardare il lancio di prodotti specifici contenenti processori di tipo x86 dei concorrenti e di limitare i circuiti di vendita utilizzati da questo prodotti”. Per l’Ue Intel avrebbe così ostacolato la concorrenza e limitato la scelta per i consumatori.

L’azienda americana, allora guidata dal Ceo Paul Otellini, ha presentato ricorso definendo la decisione errata e ignara della realtà di un mercato dei microprocessori altamente competitivo e caratterizzato da costante innovazione, performance crescenti e prezzi in calo.

La decisione della Corte di giustizia, attesa per mercoledì, è cruciale perché potrebbe influenzare le indagini antitrust su Google (cui a luglio è stata inflitta una multa molto più salata, 2,4 miliardi di euro) e Qualcomm, nonché le decisioni di altri regolatori in tutto il mondo. Ma gli avvocati sentiti dal Financial Times sembrano allinearsi al punto di vista del colosso dei chip: gli sconti per chi acquista grossi volumi sono una pratica standard in molti settori. Aziende con alti costi fissi, come i produttori di microprocessori ma anche i costruttori di pneumatici o le compagnie aeree, spesso impongono obblighi di esclusività ai clienti in cambio di forti sconti. Il primo punto che l’Ue dovrà chiarire, secondo gli studi legali, è se gli sconti sono illeciti sempre o solo quando sia dimostrato che danneggiano la concorrenza, come ha specificato la Corte di Giustizia europea, e vadano quindi considerati caso per caso.

“Gli incentivi possono essere un vantaggio per tutti”, afferma Pablo Ibáñez Colomo, professore di legge della London School of Economics. “Permettono ai produttori di pianificare meglio l’offerta e di dare ai clienti condizioni più vantaggiose…E’ vero, a volte ci sono effetti anticoncorrenziali, ma altre volte la concorrenza è favorita. La stessa Corte di Giustizia Ue lo ha riconosciuto in alcuni casi”.

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