Agid, altro che “caso” Poggiani. Piuttosto pensare alle cose da fare

Laurea o non laurea? Un dibattito sterile quanto noioso. Il tutto mentre l’Agenzia deve occuparsi di questioni urgenti quali le gare cloud, Spc e fondi europei

Pubblicato il 23 Lug 2014

In attesa che la Corte dei Conti ratifichi la nomina di Alessandra Poggiani alla direzione generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, sul web e su alcuni giornali si è scatenata la caccia all’uomo o, meglio, alla donna.

Argomento principale? “Non ha nemmeno la laurea”. Laurea, detto per inciso, non richiesta dal bando di selezione (il che lascerebbe pensare ad una certa discrezionalità in materia da parte del ministro che ha messo la firma sul decreto di nomina), ma pretesa da una legge dello Stato che la impone per i dirigenti della pubblica amministrazione.

Lo sputtanamento si è poi allargato all’insinuazione che Poggiani avrebbe dichiarato il falso nel curriculum presentato a corredo della domanda di partecipazione alla selezione per l’incarico di direttore generale di Agid. Il quotidiano che ha lanciato l’accusa ha dovuto fare immediata retromarcia pubblicando una smentita netta della Poggiani: quella laurea esiste.

È frutto di tre anni di studio in una università italiana seguiti da un quarto anno in un ateneo londinese con conseguente conseguimento del Bachelor of Science. Per gli amanti delle certificazioni, c’è anche il bollo del Consiglio Universitario Nazionale che nel 1997 ha dichiarato il BSc di Poggiani equiparato ad una laurea italiana.

Ci si consenta di dire che troviamo il tutto assai sorprendente. Che la scelta del ministro Madia avrebbe suscitato discussioni e polemiche anche dure era chiaramente prevedibile. Per la delicatezza dell’incarico che Poggiani coprirà, per il numero di candidati scesi in campo (quasi 150) e la conseguente delusione di chi è stato scartato, per le occasioni di guerriglie incrociate che la nomina del direttore generale di Agid permette di scatenare mgari per ragioni del tutto diverse daquelle per le quali apertamente si polemizza, per le differenti (e legittime) valutazioni che si possono dare sulla consistenza professionale di questo o quel candidato, vincente o bocciato che sia stato.

Sorprende, però, il basso livello del dibattito. Siamo sicuri che sia la laurea a definire le capacità professionali di una persona? Steve Jobs non sarebbe stato ritenuto adeguato all’incarico. E con lui molti nomi famosi dell’Internet economy. Sorprende inoltre che a difendere pervicacemente il valore del “pezzo di carta” siano persone che si dichiarano fanatici del digitale. La cosa puzza di strumentalismo. Non sarebbe, piuttosto, il caso di chiedersi se sia ancora attuale il valore legale della laurea?

E perché un diploma conseguito a Londra non dovrebbe avere valore in Italia? Perché ostinarsi a difendere barriere nazionalistico/burocratiche frutto di tempi ormai trapassati? A volte ci si riempie la bocca della parola innovazione, ma poi ci si attacca ad argomenti passatisti. Anche qui si sente molta puzza di strumentalizzazione.

Il curriculum è uno strumento di selezione, ma non è l’assicurazione contro gli insuccessi. Il mondo è pieno di supermanager titolati che hanno fallito. Si giudichi Poggiani dal quel che farà o non farà una volta in campo. È questo l’unico criterio che secondo noi conta a qualcosa.

In ogni caso, la testa al toro la taglierà il decreto di nomina e il via libera della Corte di Conti cui spetta di valutare le congruità formali della scelta di Madia. Però, invece che sui formalismi burocratici, ci sarebbe piaciuta di più, ad esempio, una discussione sui tempi della macchina decisional-amministrativa italiana.

Tutti ricordano i due anni di tormenti burocratici che hanno accompagnato l’avventura del predecessore di Poggiani, Agostino Ragosa. Tempi lentissimi, pareri e contropareri, ricorsi e controricorsi. I risultati (o i non risultati) si vedono tutti. Vogliamo ricominciare un altro calvario del genere forti della vischiosità del nostro apparato normativo e della cavillosità di avvocati e magistrati amministrativi? A noi pare controproducente. Non per questo o quella, ma per il Paese.

Piuttosto, si cominci veramente a discutere delle cose da fare e delle urgenze. Che non sono quisquiglie: gara cloud, spc, fondi europei (si parla di una decina di miliardi più 3.6 di cofinanziamento, non di bruscolini). E poi, siamo sicuri che la governance disegnata più di due anni fa sia ancora valida o forse è un po’ troppo farraginosa visti i componenti dei vari organismi? E come coordinare evitando frizioni negative per tutti i ruoli di comitato di indirizzo e Agid? Quale assetto ma anche quali i compiti di Agid che, nonostante un bel po’ di anni di discussioni, non sono ancora completamente chiari? A noi pare meglio discutere di questo piuttosto che accapigliarsi come i polli di Renzo sull’esistenza o meno di una laurea.

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