LA RICERCA

E-gov a metà del guado, ma il “diavolo” sta nel back office

Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano: il 50% degli enti ha sviluppato progetti ad hoc. Mancanza di competenze e resistenze del personale i freni allo sviluppo. Pagamenti: 13mila enti già iscritti a PagoPA, ma l’assenza di software gestionali ne impedisce la massiccia diffusione. Noci: “Trend positivo, ora spingere sulla collaborazione tra amministrazioni”

Pubblicato il 17 Mar 2016

Federica Meta

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Nel 2015 circa metà degli enti della pubblica amministrazione italiana ha sviluppato progetti di eGovernment e rispetto all’anno procedente è migliorata la capacità delle iniziative di innovazione di raggiungere i risultati desiderati (+65%) e di mantenerli nel tempo (+20%). È raddoppiato il numero dei Comuni che ha adottato una soluzione a riuso (dal 16,6% al 33,7%), crescono del 35% gli enti con un referente politico per i progetti di innovazione e dell’85% quelli con un’area organizzativa dedicata (pur rimanendo su valori ancora limitati). Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano, presentata questa mattina a Roma al convegno “Dall’Italia all’Europa, confrontarsi per migliorare”, organizzato in collaborazione con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione.

Secondo lo studio migliora la capacità della pubblica amministrazione di gestire l’innovazione, anche se il successo delle iniziative è ancora condizionato dalle resistenze al cambiamento del personale e dalla scarsa formalizzazione dei processi di back office, requisito fondamentale alla digitalizzazione. Un esempio è il caso di PagoPA, a cui a gennaio 2016 avevano aderito già più di 13.000 enti, ma l’assenza di software gestionali rischia di costituire un freno alla diffusione. Negli acquisti della PA, invece, manca ancora un processo strategico e continuativo: nel 54% dei casi la programmazione dei fabbisogni d’acquisto è su base annuale e solo in un ente su cinque l’attività è supportata da un gestionale informativo, mentre le piattaforme di eProcurement sono utilizzate al meglio solo dagli enti più organizzati. L’81% degli Sportelli Uniti delle Attività Produttive ha almeno un canale telematico per l’avvio dei procedimenti, ma persistono molte differenze tra le Regioni. E seppure il 63% dei procedimenti degli Sportelli è avviato in modalità telematica, ancora il 15% delle pratiche è in formato cartaceo o privo di certificazione. Per l’attuazione degli Open Data, invece, i dati disponibili nella PA sono ancora scarsi, non di alta qualità e di gestione non strutturata: il 41% dei comuni italiani afferma di pubblicare Open Data, ma la maggioranza non identifica mansioni, ruoli, responsabilità, non individua un referente e non coinvolge gli stakeholder.

In questo scenario, anche l’utenza non sembra del tutto pronta al cambiamento. Oltre l’80% dei cittadini predilige ancora i canali tradizionali per pagare alla PA multe e sanzioni, trasporti pubblici e ticket, iscrizioni scolastiche, mensa e tasse, anche se per il futuro oltre metà è disposto a pagare con alternative al contante. Il sentiment nei confronti degli Open Data è prevalentemente positivo (70%) e nettamente superiore a quello nei confronti della PA in generale (48%). Le imprese, invece, utilizzano lo Sportello Unico Attività produttive, ma in maggioranza preferiscono incaricare un professionista o altro intermediario, perché ritengono troppo complesso interagire in prima persona: solo il 15% utilizza direttamente lo sportello virtuale. E i fornitori della PA riconoscono i vantaggi di trasparenza e concorrenzialità delle piattaforme di eProcurement, utili per raggiungere un territorio più esteso, ma evidenziano criticità nell’accesso per gli adeguamenti burocratico/normativi e per i tempi lunghi di autenticazione e registrazione.

“Per il primo anno dall’inizio delle attività dell’Osservatorio assistiamo a un trend marcatamente positivo verso una gestione più consapevole del processo di innovazione della PA – spiega Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eGovernment –. Il principale punto debole rimangono ancora la mancanza di competenze e le resistenze del personale, troppo spesso abituato a privilegiare un atteggiamento passivo nei confronti di progetti di cambiamento, oltre alla scarsa formalizzazione dei processi di back office. Tuttavia, comincia a farsi strada la consapevolezza dell’importanza di lavorare in rete per mettere a sistema risorse e competenze, nelle strutture operative ma anche tra gli amministratori, e nei piccoli Comuni, la collaborazione diventa ovviamente una necessità. In questi processi di collaborazione, gli enti sovraordinati e le Regioni possono giocare un ruolo fondamentale. La nascita e il rafforzamento delle iniziative di gestione associata (o centralizzata) deve essere una priorità per contenere il divario tra chi oggi è in grado di innovare e chi invece autonomamente forse non lo sarà mai”.

“Per quanto riguarda le imprese, la parola d’ordine è semplificazione – aggiunge Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio eGovernment -. Il passaggio all’online potrebbe avvenire velocemente, ma i benefici devono essere tangibili. Mentre nell’eProcurement, la digitalizzazione rischia di produrre effetti contrari se non si considerano le caratteristiche del mercato, composto da tante micro e piccole imprese con risorse limitate. I cittadini, dal canto loro, si dicono propensi al cambiamento: iniziative come Facebook e AirBnB hanno dimostrato che gli italiani possono essere fra i primi a utilizzare la tecnologia, se funzionale ai propri bisogni. Anche per la PA è venuto il momento di ragionare con logiche di marketing per mettere al centro i bisogni dell’utente, nella prospettiva della valorizzazione degli ormai investimenti messi in campo sul fronte della digitalizzazione”.

L’innovazione nella PA – Circa il 50% degli enti ha sviluppato progetti di innovazione nell’ultimo anno, con una flessione di circa il 6% rispetto all’anno precedente, ma con un consistente incremento di quelli sviluppati con enti stranieri (quadruplicati) e con big player del mondo dell’ICT (una volta e mezzo in più). La copertura finanziaria avviene soprattutto tramite l’autofinanziamento (75%) e, nel caso di finanziamenti esterni, erogati principalmente dalle Regioni. Una valida alternativa potrebbe essere costituita dai fondi UE: circa il 12% degli enti ha già partecipato ai bandi, un quinto conosce i contenuti della programmazione 2014-2020, ma restano i problemi di coordinamento con gli altri enti per lo sviluppo dei progetti.

La maggioranza degli enti (il 47%) ritiene che le Regioni dovrebbero coordinare le politiche di eGovernment, seguite dallo Stato (9,8%) e dall’UE (7,6%). Circa due terzi dei soggetti intervistati non dispongono di un referente politico nell’ambito tecnologico, digitale o dell’innovazione, ma è in aumento del 35% chi ha una delega politica e dell’85% chi ha un’area organizzativa dedicata. Quando sono previsti strumenti normativi coercitivi l’uniformità e la rapidità di implementazione delle singole misure aumentano, con tempi però spesso lunghi e variabili da Regione a Regione. Nella scelta di soluzioni ICT, solo il 16% degli enti prende in considerazione di realizzare soluzioni tecnologiche riusabili da altre pubbliche amministrazioni, mentre rispetto all’anno precedente è raddoppiato il numero di soggetti che hanno adottato una soluzione a riuso.

Pagamenti multicanale – La digitalizzazione dei servizi di pagamento a disposizione di cittadini e imprese è ancora limitata, anche se PagoPA lascia intravedere una soluzione. A gennaio 2016 hanno aderito oltre 13mila enti che nei prossimi mesi dovranno integrarsi con il proprio backoffice. Ma se il 97% della funzione tributi dei Comuni possiede già un software gestionale, la percentuale scende tra il 60% ed il 70% delle funzioni edilizia, polizia locale, pubbliche affissioni ed attività produttive, poco più della metà dei servizi socio assistenziali, meno della metà delle altre funzioni. Solamente il 20% degli enti intervistati possiede almeno un canale digitale e, fatta eccezione per i tributi (pagati con modello elettronico F24 dell’Agenzia delle Entrate nell’84% dei casi), lo strumento più utilizzato dai cittadini rimane ancora il bollettino postale, seguito dai canali offerti dalla banca tesoriera e lo sportello fisico dell’ente.

Lato cittadini, l’indagine, svolta in collaborazione con DOXA rileva come più dell’80% prediliga ancora i canali tradizionali per i pagamenti di multe e sanzioni, trasporti pubblici e ticket, iscrizioni scolastiche e mensa, tasse, ma per il futuro la metà è disposto a effettuare pagamenti con modalità alternativa al contante. E il livello di soddisfazione per coloro che hanno effettuato l’esperienza di pagare on line un servizio pubblico è alto o molto alto per un cittadino su due. L’identikit di chi paga online è: uomo, 35-54 anni, laureato o diplomato, residente al Nord e nei grandi centri. Solo il 5% dei cittadini ha utilizzato il sito web della PA, mentre il canale digitale più utilizzato è quello dell’home banking. Si accede al pagamento prevalentemente tramite PC (70%), mentre i metodi preferiti sono l’addebito su conto corrente (40%) e le carte prepagate (30%).

Sportello Unico delle Attività Produttive – L’81% degli Sportelli Unici delle Attività Produttive in Italia è dotato di un canale web (+8,4% rispetto al 2014), ma con forti differenze regionali: le piattaforme online vanno dal 100% degli enti di Calabria, Emilia Romagna, Sardegna e Valle d’Aosta (anche se spesso affiancati dai canali tradizionali) alla totale assenza dell’Abruzzo. In media, a livello nazionale circa il 63% dei procedimenti degli Sportelli Unici delle Attività Produttive viene avviato in modalità telematica e il 22% via PEC, ma permane ancora un 15% di pratiche in formato cartaceo o privo di certificazione.

La mancanza di collaborazione tra tutti gli attori pubblici competenti nei procedimenti e una scarsa strutturazione interna degli uffici comunali comporta un aumento dei tempi per le autorizzazioni necessarie alle imprese. E i Comuni, soprattutto di piccole e medie dimensioni, trovano difficoltà a gestire in autonomia le funzioni dello Sportello Unico: solo il 26,5% identifica nel proprio ente locale il soggetto più adeguato per la gestione del SUAP, mentre il 30,5% predilige le Camere di Commercio, il 20% le forme associate, il 16% le Regioni. Lo stesso problema si riflette nel rapporto con le imprese: meno dii due terzi non ha mai attivato forme di collaborazione coi privati. E i principali problemi individuati nell’attuale gestione dei SUAP sono la complessità della normativa e della modulistica (per il 57% degli enti), le resistenze culturali ad abbandonare i supporti cartacei (47%), la mancanza di coordinamento e collaborazione (41%). I principali suggerimenti sono allora la semplificazione della modulistica (62%), una maggiore assistenza alle imprese (42%) e l’integrazione dei dati tra pubbliche amministrazioni (41%).

Cosa ne pensano le imprese? Secondo l’indagine Cati realizzata dall’Osservatorio in collaborazione con Unioncamere, in media il 40% delle imprese conosce lo Sportello Unico per le Attività produttive (in prevalenza quelle con altre forme giuridiche capitali o persone). Tra chi non lo conosce, il 45,3% non ha mai svolto un adempimento amministrativo e il 43,7% ha preferito incaricare un professionista o altro intermediario, mentre il resto (11%) si rivolge invece alle associazioni di categoria. Tra chi lo conosce, il 44,8% sbriga autonomamente gli adempimenti e il 43,8% si affida a un intermediario. Le imprese che utilizzano direttamente lo sportello virtuale per interagire con la PA sono complessivamente solo il 15%, ma il giudizio di chi ne ha avuto esperienza diretta è generalmente positivo.

Gli acquisti della Pubblica Amministrazione – I modelli per la gestione del processo d’acquisto negli enti locali sono oggi ancora fortemente eterogenei e destrutturati: in metà degli enti gli acquisti vengono gestiti tutti autonomamente dai singoli settori, mentre solo in un Comune su dieci da un unico ufficio centrale. Lo rivela l’indagine dell’Osservatorio eGovernment su un campione di 182 Comuni italiani, che mostra come l’approccio strategico e continuativo sia ancora limitato: la programmazione dei fabbisogni d’acquisto avviene nel 54% dei casi su base annuale e solo in un caso su cinque l’attività è supportata da un sistema strutturato. I Comuni evidenziano la necessità di aumentare le competenze per la gestione del processo di acquisto, in particolare nella definizione di capitolati di gara, la fase più critica e onerosa. La centralizzazione degli acquisti potrebbe essere la strada per superare queste criticità, accentrando le responsabilità e identificando un unico ufficio acquisti all’interno dell’ente.

Ad utilizzare di più le piattaforme eProcurement sono gli enti che adottano un modello organizzativo strutturato. E l’utilizzo delle piattaforme elettroniche d’acquisto ha effetti positivi sui risparmi che si possono ottenere attraverso processi di centralizzazione. Il 96% degli enti ha utilizzato piattaforme di eProcurement, ma solamente uno su quatto lo fa in modo continuativo. Gli strumenti più utilizzati sono il Mepa A (94% dei rispondenti) e le Convenzioni Consip (79%). Ma per un Comune è difficile identificare a priori la qualità del fornitore e ricercare e identificare il bene desiderato, anche se sono evidenti i benefici della disintermediazione, come l’aumento dell’offerta, la riduzione dei costi di gestione del processo e dei prezzi d’acquisto della fornitura.

Dall’altro lato, gli operatori economici riconoscono i vantaggi di trasparenza e aumento della concorrenzialità delle piattaforme di eProcurement, che favoriscono l’accesso al mercato della PA e rappresentano un’opportunità per raggiungere un territorio più esteso rispetto alla propria realtà locale, anche se con criticità nell’accesso a queste piattaforme: l’utilizzo richiede specifici adeguamenti burocratico/normativi, l’autenticazione e la registrazione di prodotti ha tempistiche troppo lunghe.

Le Gestioni Associate – L’indagine realizzata con un campione di 53 Gestioni Associate rivela che la principale spinta alla nascita a forme di cooperazione inter-comunale è la ricerca di una maggiore efficacia, migliorando il servizio offerto a cittadini e imprese (74%), e di generare efficienza, riducendo i costi sostenuti dai singoli enti (60%). Per due enti su tre la Gestione Associata ha aumentato la capacità di avviare un percorso di innovazione, per metà ha aumentato la disponibilità economica e quindi la possibilità di investimenti. In due casi su tre ha portato a un aumento dell’efficienza delle procedure riducendo i costi di gestione e i tempi di lavorazione, e a una maggiore efficacia nella qualità e di livello di servizio, riducendone i tempi di erogazione. Tuttavia solo nel 45% dei casi, l’aumento di efficienza si è tradotto in una riduzione dei costi del personale.

Il percorso di innovazione è ancora all’inizio: nel 57% dei casi la Gestione Associata ha favorito una maggior digitalizzazione delle procedure e nel 53% dei casi ha comportato una maggiore capacità di programmazione della spesa ICT. Per riuscire a ottenere tutti i benefici derivanti dalla digitalizzazione è però necessario sfruttare tutte le potenzialità offerte dall’ICT, a partire dall’interazione tra gli enti; oggi la condivisione di documenti avviene ancora in modo destrutturato: l’email ordinaria (89%) e la PEC (86%) sono i principali canali utilizzati, seguiti dalla spedizione cartacea o via fax, ancora presente in una GA su due.

Gli Open Government Data Gli open data possono costituire un elemento centrale nella strategia di eGovernment, un volano per rendere più “digitale”, trasparente, semplice e partecipato il rapporto tra cittadini, imprese e Amministrazione, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Nell’indagine realizzata dall’Osservatorio eGovernment su un campione statisticamente rappresentativo di 577 Comuni italiani, emerge come – sebbene il 41% dei comuni italiani affermi di pubblicare open data – la maggioranza lo faccia in modo non strutturato (il 60% non identifica un processo identificando mansioni, ruoli, responsabilità e utilizzando appositi strumenti ICT), senza individuare un referente per la gestione (68%) e senza coinvolgere nel processo gli stakeholder (71%). Solamente il 2% pubblica dati con metadatazione e/o linked open data, solo il 16% utilizzare una delle licenze d’uso correttamente associate agli open data. L’84% dei comuni non fornisce agli utenti l’informazione sulla frequenza di aggiornamento dei dati e il 68% non consente agli utenti di effettuare segnalazioni sulle banche dati.

Nonostante questa relativa immaturità, la sentiment analysis svolta da Voices from the Blogs in collaborazione con l’osservatorio eGovernment su 600.000 testi online indica come il sentiment positivo nei confronti degli Open data sia prevalente (70%) e nettamente superiore a quello nei confronti della PA in generale (48%). Gli open data piacciano perché favoriscono una maggiore trasparenza (38%) e incrementano il processo di digitalizzazione (18%) e innovazione (12%) della PA.

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