AGENDA DIGITALI

Fatturazione elettronica, ecco perché si rischia il caos

Il 6 giugno scatta l’obbligo. Ma la PA è in ritardo: per fatturare, le imprese devono poter usare i codici ufficio degli enti ancora non inseriti nella banca dati Ipa

Pubblicato il 27 Mar 2014

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Secondo il commissario alla spending review Carlo Cottarelli si prevede un risparmio di diversi miliardi di euro dalla digitalizzazione della PA. I risparmi potrebbero cominciare dalle riforme messe in campo da Francesco Caio in qualità di “commissario del commissario dell’agenzia per l’Italia digitale” e cioè: fatturazione elettronica, anagrafe nazionale, identità digitale.

Ma i conti non tornano. Anzi, proprio la fatturazione elettronica – che porterebbe in dote un risparmio di 935 milioni di euro – potrebbe essere la dimostrazione, di come gli ultimi governi abbiano caricato di eccessiva enfasi l’agenda digitale e, al tempo stesso, abbiano fatto di tutto per non darle una pur minima solidità organizzativa.

L’obbligo della fatturazione attraverso sistemi informatizzati è stato definito nel 2007 (legge finanziaria per il 2008) e dal successivo decreto attuativo dm n. 55 del 3 aprile 2013 (con parere positivo da parte del Consiglio di Stato del 22 novembre del 2011). Tra due mesi (6 giugno 2014), quindi entra in vigore l’obbligo per la PA centrale di accettare solo fatture compilate in modo elettronico e coerenti con il quadro normativo. Però sul formato della fattura (vedi www.fatturapa.gov.it) si aprirà un baratro nei rapporti tra PA e imprese, specie quelle di minori dimensioni.

Tanto per cominciare perchè la proposta di direttiva Ue relativa alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici del giugno 2013 prevede che “Il modello standard europeo non dovrebbe richiedere la firma elettronica” mentre il nostro processo impone una “firma elettronica qualificata o digitale”. Ma soprattutto perchè le amministrazioni non hanno neanche iniziato a prepararsi nè hanno in alcun modo cercato di informare le imprese per spingerle ad adeguarsi ai nuovi sistemi di compilazione e di invio delle fatture.

A dimostrazione di questo, per evitare che le inadempienze delle amministrazioni si scarichino sulle imprese il Mef sta predisponendo una circolare “interpretativa” il cui testo è ancora riservato. Ma il punto dolente è che non sono pronti gli indirizzi, cioè i codici ufficio a cui inoltrare le fatture.

Sono meno di 100 le pubbliche amministrazioni che hanno correttamente indicato e “caricato” questo indirizzo www.indicepa.gov.it senza il quale l’impresa non può fatturare alla Pa e quindi non ricevere i compensi. Il cosiddetto “Codice Ufficio”, è l’identificativo dell’Ufficio destinatario di fatturazione che i fornitori della P.A. devono inserire nel tracciato della Fattura elettronica e definisce anche la modalità di invio della fattura (ad esempio via Pec o canali automatici). In assenza del codice il sistema di controllo centrale respingerà la fattura perchè priva del destinatario.

Scaricando i dati da IPA (l’individuazione dei codici per la pa centrale era il 6 marzo, vedi dm 3 aprile art 6) si vede che ad oggi:

– le amministrazioni che hanno richiesto il Codice Ufficio per la fatturazione sono 83 su oltre 22.000 (compresi 28 comuni non capoluogo e 5 scuole) e in particolare delle 28 unità organizzative autonome della Presidenza del Consiglio nessuna ha inserito in IPA un codice di fatturazione elettronica;

– nessuna amministrazione centrale ha completato la ricognizione degli uffici (per l’Avvocatura ci sono tutte le sedi distrettuali ma manca la sede generale di Roma) e pertanto nessuna PA centrale può dire di aver fatto, per intero, neanche il primo passo;

– l’Agenzia per l’Italia digitale ha inserito nella banca dati IPA (infrastruttura nazionale critica e banca dati di interesse nazionale) 18.712 uffici fittizi denominati Uff_eFatturaPA, questo per cercare di evitare che le imprese non possano inviare fatture per inadempienza delle amministrazioni. (cfr news del 6 marzo sul sito indicepa.gov.it, in base alla “emananda” (?) – circolare del Mef.

Insomma non serve, anzi può far danni e costituisce una grave violazione del principio di responsabilità delle singole amministrazioni nell’inserire e aggiornare le informazioni di Ipa (come stabilisce l’art 57 bis del Codice della amministrazione digitale e ribadito dal decreto di attuazione).

Se l’Agenzia si sostituisce ai singoli enti non si capisce più chi e come deve aggiornare i dati (essenziali per la gestione delle comunicazioni telematiche).

Secondo l’ex direttore generale di DigitPa, Giorgio De Rita, il caos è alle porte e l’unica salvezza sarà un qualche milleproroghe, con buona pace di chi oggi mette in bilancio risparmi fantasiosi.

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