INCHIESTA ITALIA DIGITALE

Giustizia digitale a macchia di leopardo

Manca una strategia nazionale che offra agli uffici strumenti tecnici e normativi necessari a colmare le attuali lacune del sistema. Il Tribunale di Milano è la best practice

Pubblicato il 20 Set 2013

Alessandro Longo

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La Giustizia si sta convertendo al digitale. Ma da un tribunale all’altro e tra i diversi atti ci sono grosse differenze. Il Tribunale di Milano e i decreti ingiuntivi, come anche le comunicazioni di cancelleria, sono all’avanguardia. Basta uscire da questo recinto per piombare nel regno dell’analogico. Per cominciare una buona notizia: “I tribunali stanno rispettando quanto imposto dal decreto 179/2012 (Agenda Digitale) per la Giustizia”, spiega Guido Scorza, avvocato esperto di nuove tecnologie. Secondo il decreto, nei procedimenti civili le comunicazioni delle cancellerie devono avvenire solo per via telematica. Nei procedimenti penali è prevista comunicazione online per tutte le notifiche alle persone diverse dall’imputato. Ci sono semplificazioni anche per le notifiche regolate dalla legge fallimentare: il decreto introduce comunicazioni online nei momenti essenziali della procedura.

“I problemi per il passaggio al digitale ci sono quando gli atti coinvolgono una terza parte oltre ad avvocati e Tribunale. A quel punto l’iter ricade nel cartaceo, soprattutto se la terza parte è un privato. Quest’ultimo al solito non ha la Pec per la notifica telematica”, spiega Scorza. Un limite che vale anche per Milano. “La percentuale di telematico dei primi sei mesi 2013 supera l’80% dei ricorsi. Poiché è complicato mantenere entrambe le procedure – analogica e digitale – si è deciso di chiedere per l’autunno l’abolizione dei ricorsi tradizionali cartacei”, spiega Enrico Consolandi, magistrato milanese e referente distrettuale per l’informatica. Sarà il primo tribunale in Italia ad abbandonare il cartaceo per una tipologia di atto processuale. Del resto “il digitale fa risparmiare il 30-40% del tempo di lavoro degli ufficiali giudiziari e il 20-30% agli addetti di cancelleria. Taglia costi di stampa e di notifica. Riduce i tempi di emissione dei decreti ingiuntivi a 15 giorni, contro i 45 giorni del cartaceo”, dice Consolandi in base all’esperienza milanese.

Anche altri tribunali se la cavano bene con i decreti ingiuntivi telematici (Genova, Torino, Brescia, Firenze), ma fuori da questa isola felice il quadro è molto disomogeneo. Il decreto legge 179/2012 mira all’uniformità: impone che dal 30 giugno 2014 tutti gli atti dei processi civili siano depositati solo per via telematica. “Ma sarà molto difficile rispettare quest’obiettivo, senza una profonda revisione del sistema Giustizia”, dice Consolandi. Il decreto stanzia anche 10 milioni tra il 2012 e il 2014 per l’adeguamento software e hardware degli uffici giudiziari. Ma secondo gli esperti è necessario mettere mano a leggi e procedure. “Ad esempio ad oggi non possiamo fare in digitale le ingiunzioni transfrontaliere, perché la normativa ci impone di usare la Pec, che però non è uno standard riconosciuto in Europa”, spiega Consolandi. “L’uso della posta è un problema anche per il deposito delle memorie, che sono allegati troppo pesanti per i protocolli e-mail. Serve anche una revisione del rito e delle regole tecniche, poiché ancora la procedura telematica è ricalcata su quella cartacea, ripetendone storture e strettoie”, dice Consolandi.

Per esempio, uno dei motivi per cui le sentenze telematiche sono ancora una minoranza persino a Milano è che l’attuale livello di sviluppo degli applicativi non permette di assicurare la privacy necessaria nelle sentenze della sezione famiglia. E finora abbiamo parlato solo del processo civile telematico, mentre “per quello penale siamo ancora all’anno zero del digitale, vista l’arretratezza dei database informatici utilizzati”. Ciò che manca è una strategia nazionale e governativa che stabilisca un piano sistematico di passaggio al digitale, dando anche gli strumenti tecnici e normativi necessari a colmare tutte le attuali lacune del sistema.

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