SPENDING REVIEW

In house Ict: il Senato dice no alla chiusura

Spending review, Palazzo Madama licenzia il testo che ha eliminato il meccanismo automatico per la messa in liquidazione o privatizzazione delle società pubbliche. Ora la palla passa alla Camera. Confindustria: “Il governo non rinunci all’obiettivo di aprire al mercato importanti settori economici”

Pubblicato il 31 Lug 2012

F.Me.

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Con 217 voti favorevoli, 40 contrari e 4 astenuti il Senato vota la fiducia al governo Monti sul decreto spending review abbinato a quello sulla dismissione del patrimonio pubblico. Un voto che è stato posticipato di un giorno, per la necessità del Governo di correggere alcuni punti ancora controversi del decreto. Il testo licenziato oggi a Palazzo Madama elimina il meccanismo automatico, per la messa in liquidazione o privatizzazione delle società in house, comprese quelle Ict. Ora la palla passa alla Camera dove approderà giovedì alle 15 in Aula alla Camera per la discussione generale in Aula che proseguirà venerdì. Il seguito dell’esame è in programma da lunedi’ 6 agosto, quando potranno tenersi anche votazioni; il Governo valuterà se porre la questione di fiducia alla luce del numero di emendamenti presentati.

La novità che scardina l’automatismo previsto nel testo originario del provvedimento è quello che prevede che entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, le pubbliche amministrazioni interessate possano predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate. Questi piani dovranno essere approvati dal commissario straordinario Enrico Bondi e possono prevedere la individuazione delle attività connesse esclusivamente all’esercizio di funzioni amministrative che potranno continuare ad essere svolte in house.

Con l’emendamento si prevede che qualora esistano “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche” che rendono non efficace e utile il ricorso al mercato, le amministrazioni interessate dovranno fare un’analisi di mercato e trasmetterne gli esiti all’Antitrust che renderà un parere vincolante che sarà a sua volta trasmesso alla presidenza del Consiglio.

L’emendamento stabilisce inoltre che, in caso di scioglimento entro il 31 dicembre 2013, gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni sono esenti da imposizione fiscale, fatti salvi l’Iva e l’assoggettamento in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali. Nel caso invece di cessione, il servizio sarà assegnato per cinque anni “non rinnovabili” e il bando dovrà considerare, tra gli elementi di valutazione dell’offerta, l’adozione di strumenti di tutela dell’occupazione. Viene anche esplicitato che “l’alienazione deve riguardare l’intera partecipazione della pubblica amministrazione controllante”.

La proposta allunga anche di un anno, dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014, gli affidamenti diretti vigenti. Infine viene previsto che, oltre ad essere escluse le società quotate e le loro controllate, queste misure non si applicano alle Spa pubbliche che prestano il servizio di gestione del risparmio.

La norma sulle in house lascia perplessa Confindustria. “Occorre che il Governo non rinunci all’obiettivo di aprire al mercato e alla concorrenza importanti settori economici – si legge in una nota di Viale dell’Astronomia – che vedono una presenza pubblica ancora troppo invasiva, costosa e inefficiente, seppure nei limiti tracciati di recente dalla Corte Costituzionale”.

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