Renzi si gioca (quasi) tutto sulla nuova PA

La riforma del settore pubblico diventa leva per l’innovazione del Sistema Paese. La strategia del premier punta direttamente al cuore della macchina di Stato: una svolta in 44 punti. E l’Ict farà la parte del leone

Pubblicato il 26 Mag 2014

L’Agenda digitale cambia verso. Dopo anni – il trend era iniziato quando si era insediato il governo Monti nel novembre 2011- nei quali il piano nazionale si era “allargato” andando a coprire settori, sì, innovativi ma non strettamente legati alla riforma dello Stato (smart city, start up soprattutto), il presidente del Consiglio Matteo Renzi è in qualche modo “tornato alle origini”, restrigendone il campo di azione alla Pubblica amministrazione sulla scia dei “fondatori” dell’Agenda stessa: Lucio Stanca, Luigi Nicolais e Renato Brunetta, tutti convinti (al di là del diverso colore politico) che fosse l’amministrazione a dover fare da driver all’innovazione del sistema paese e che era lì che andavano concentrati sforzi e risorse.

Non è un caso dunque che sarà il ministro della Semplificazione e Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ad avere in capo le deleghe dell’Agenda e la vigilanza sull’Agenzia per l’Italia digitale, insieme ai poteri di attuazione del piano di riforma delle PA. Riforma che verte su tre pilastri, declinati in ben 44 punti, primo fra tutti quello della semplificazione e digitalizzazione dei servizi.

“Dobbiamo utilizzare le nuove tecnologie per rendere pubblici e comprensibili i dati di spesa e di processo di tutte le amministrazioni centrali e territoriali – spiega Renzi – ma anche semplificare la vita del cittadini: mai più code per i certificati, mai più file per pagare una multa, mai più moduli diversi per le diverse amministrazioni”. In questo quadro saranno gli open data e il pin unico (identità digitale) a fare la parte del leone.

Il secondo pilastro riguarda le persone, in un’ottica di innovazione strutturale di ricambio generazionale e di “mercato” del lavoro della dirigenza.

Infine – questo il terzo punto – i tagli agli sprechi e la riorganizzazione dell’amministrazione per evitare altri tagli strutturali. Il governo punta cancellare “i doppioni”, abolendo enti che non servono più e che nel tempo sono diventati meri “poltronifici” o che sono, più semplicemente, non più efficienti come nel passato.

“Le proposte avanzate dal Governo in tema di valorizzazione delle persone e maggiore flessibilità anche per la dirigenza mi trova in sintonia – spiega Giovanni Valotti, docente della Bocconi ed esperto di Pubblica amministrazione – Auspico, dunque, che lo sviluppo di questi principi nei provvedimenti attuativi consenta finalmente di sbloccare un settore prigioniero di rigidità ed eccessivo immobilismo, dando spazio alle persone capaci e competenti, siano esse interne alla PA o provenienti da altri ambiti del sistema economico, nazionale e internazionale”.

Valotti pone l’accento soprattutto sul processo di selezione dei dipendenti, della dirigenza in maniera particolare, scelta imprescindibile per rendere efficace la riforma.

“Bisogna prendere atto che i criteri e le modalità con i quali sono stati selezionati i dirigenti sono forse coerenti con i fabbisogni del passato, ma difficilmente rispondono alle esigenze del futuro – puntualizza l’esperto – Serve una radicale riforma delle modalità di selezione: il concorso pubblico deve favorire moderne tecniche di accertamento delle competenze e delle attitudini delle persone tenendo conto dei risultati e dei meriti accumulati nello svolgimento del proprio lavoro. In questa prospettiva, la “staffetta generazionale” caldeggiata dal ministro Madia, se accompagnata da moderne e professionali modalità di selezione, rappresenta una straordinaria opportunità”.Meno convinti del piano, invece, i sindacati che annunciano battaglia e un loro “contropiano”. “Renzi inizi a pensare alle cose serie – dice Rossana Dettori, segretaria generale della Fp-Cgil – Un pin del cittadino non basta a spiegare quali servizi pubblici, quale sanità, quale previdenza, quale sicurezza, quale welfare locale serva al paese. E non basta nemmeno a dire quale sia l’investimento straordinario sulla PA e sui lavoratori di cui parla il premier”.

“Non basta una lista della spesa, ma un progetto organico che tracci l’idea dell’amministrazione pubblica del domani, soluzioni concrete per rispondere ai bisogni delle persone, delle imprese e di chi ci lavora”, rimarca la sindacalista.

Sulla eccessiva genericità pone l’accento anche l’Istituto Bruno Leoni.

Per il vice direttore generale Serena Sileoni “i 44 punti sono una serie di asserzioni rispetto alle quali è difficile non essere d’accordo ma che restano, appunto, dichiarazioni di intenti”.

“Da un governo, tuttavia, si attende che le dichiarazioni programmatiche diventino provvedimenti effettivi, specie quando sono così vaste e generiche da essere ancor più difficilmente valutabili – puntualizza Sileoni – Ci sono punti più chiari, come l’accorpamento di Aci-Pra-Motorizzazione civile o l’eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle camere di commercio o l’accesso ai dati Siope, ma è davvero poco opportuno commentare delle dichiarazioni di intenti, anche laddove siano più puntuali, se a formularle è il governo, l’unico che ha la possibilità di tradurre in misure cogenti delle più o meno vaghe intenzioni. Aspettiamo di vedere se e come i ‘punti’ saranno realtà”. Al di là delle analisi, quello che è certo è che la consultazione online, avviata tra i dipendenti a cui il governo ha inviato una lettera con i punti del piano, ha riscosso molto successo. A due settimane dalla presentazione – il 30 aprile scorso – sono state oltre 12mila le e-mail di risposta con le migliorie proposte dai dipendenti.

“È la dimostrazione che anche tra chi lavora nella PA – commentano dall’entourage di Renzi – c’è voglia di cambiare e di dare di questo progetto di rinnovamento una chance per ridare credibilità e dignità a professioni che fanno la spina dorsale dello Stato”.

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