LA SENTENZA

Il Consiglio di Stato: Facebook non può più definirsi “gratuito”

Respinto il ricorso presentato dalla divisione irlandese del social network sul provvedimento di Agcom, già impugnato di fronte al Tar del Lazio. Un’azienda che sfrutta i dati personali per il proprio business non può sostenere che il servizio offerto sia senza remunerazione. L’avvocato Andrea Lisi: “Prima risposta, ma servono altre iniziative per regolare le piattaforme”

Pubblicato il 02 Apr 2021

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Facebook non potrà più definirsi “gratuito”, ma si tratta solo di una prima risposta a una serie di iniziative da intraprendere per regolare il settore dei social media. Almeno così la pensa l’avvocato Andrea Lisi, presidente di Anorc Professioni, che commenta la decisione con cui il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dalla divisione irlandese del social network sul provvedimento di Agcom, già impugnato di fronte al Tar del Lazio. Il Consiglio ha ribadito che un’azienda che sfrutta i dati personali per il proprio business non può sostenere che il servizio offerto sia totalmente gratuito.

La sentenza del 29 marzo non solo conferma l’ingannevolezza del messaggio agli utenti consumatori (convalidando così la piena sanzionabilità del comportamento ingannevole di Facebook Ireland), ma di fatto statuisce che “lo sfruttamento dei dati personali per finalità commerciali comporta, inevitabilmente, l’applicazione della normativa europea in ambito di protezione dei dati personali e quindi il Gdpr, oltre alla disciplina attinente al diritto del consumatore”, spiega Lisi.

Una goccia nell’oceano

Secondo il legale esperto in diritto dell’informatica la vicenda giudiziaria aiuta a inquadrare il fenomeno, ma rimane una “goccia nell’oceano”. Perché ancora non si ha una risposta a una lunga serie di interrogativi che dobbiamo porci di fronte allo strapotere delle piattaforme social: “Un trattamento di dati personali può essere corrispettivo di un servizio? Quali garanzie il fornitore dovrebbe rilasciare agli utenti? Come garantire i minori? La cosa certa”, afferma Lisi, “è che gli utenti devono essere maggiormente consapevoli del rilievo giuridico-economico dell’adesione alle condizioni generali di contratto di queste piattaforme, di cui Facebook è solo uno degli esempi. Perché rischiamo ogni giorno di facilitare il commercio della nostra identità e ‘svendere’ così nostri diritti e libertà fondamentali”.

Serve un’azione coordinata tra le Authority competenti

Una corretta e trasparente informativa, per esempio, serve proprio a leggere e capire, dove vanno a finire le nostre informazioni più personali, come veniamo profilati e a quale scopo. “E per ottenere questa necessaria e generalizzata consapevolezza degli utenti di tali servizi”, continua Lisi, “occorre un’azione coordinata tra le diverse Authority competenti – a tutela del mercato e a tutela dei dati personali – a livello europeo, come suggerito anni fa da Giovanni Buttarelli, ex Garante europeo per la protezione dei dati personali prematuramente scomparso. Del resto”, conclude l’avvocato Lisi, dietro questi interessi si è mossa l’economia digitale in modo indisturbato sino ad oggi, nel silenzio di una politica purtroppo complice, anche solo per ignoranza, di tale involuzione del web che mette a rischio lo stesso nostro concetto di democrazia, come il caso di Cambridge Analytica dovrebbe averci insegnato.

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