Asati: “Telecom, il governo può ancora salvarla”

I piccoli azionisti denunciano il silenzio assordante delle istituzioni a seguito dell’operazione Telefonica. E lanciano l’allarme: “A rischio la competitività del Paese e il raggiungimento degli obettivi dell’Agenda digitale. Serve bond di Cdp da 3 mld”

Pubblicato il 24 Set 2013

I passi previsti dall’accordo tra Telco e Telefonica “sono solo manovre diversive di attesa, che oltre a provocare dei fuochi di artificio nel breve presto saranno deleterie per il futuro assetto di Telecom Italia”. Lo afferma Asati, l’associazione dei piccoli azionisti, secondo cui “se il 3 ottobre al Cda non sarà proposto un aumento di capitale di almeno 3 miliardi di euro, il declassamento annunciato dalle agenzie di rating sarà impietoso, con indubbi riflessi negativi sull’andamento del titolo”.

La manovra su Telco, sottolinea Asati in una nota, “è, come nel passato, una manovra che avviene sulla scatola alta di controllo, e non altera assolutamente i parametri economico-finanziari della società. Tra l’altro, il rischio di una nazionalizzazione di TI Argentina è potenzialmente vicina, all’eventuale passaggio di tutte le azioni dei soci italiani e il venir meno di Telco. Telefonica esercitando la funzione di direzione e controllo su TI dovrebbe, pertanto, consolidare il debito, creando un gigante di argilla con oltre 90 mld di debiti, e sarà costretta, in base alla normativa antitrust, a cedere – con uno spezzatino – l’attività di Tim Brasil, dando così avvio ad una via crucis per una azienda strategica per il nostro sistema Paese, e tutto ciò con un Governo e Parlamento completamente silente e disinteressato sulla vicenda del futuro di Telecom Italia”.

“Basti pensare – rileva Asati – che il Parlamento non ha ancora nominato i componenti della Commissione parlamentare di controllo sull’attività della Cassa Depositi e Prestiti (a differenza, invece, della Commissione di Vigilanza sulla Rai prontamente nominata, appena insediatesi le nuove Camere) e non ha ancora adottato il Decreto che dovrà stabilire quali asset, ritenuti strategici nel settore delle comunicazioni, dovranno essere sottoposti alla golden share”.

Asati definisce “assordante” il silenzio della politica “e, in particolare, delle istituzioni preposte al finanziamento di progetti strategici del Paese, quale il raggiungimento degli obiettivi infrastrutturali posti dall’Agenda Digitale europea“. In Europa, rileva ancora l’associazione, “i Governi hanno avuto comportamenti ben diversi, basti pensare alla Francia dove, nel 2003, su France Telecom (oberata da ben 68 miliardi di debito) fu disposto un aumento di capitale di 15 miliardi, di cui ben 9 miliardi sottoscritti direttamente dallo Stato. E quella politica lungimirante ha dato frutti tangibili sul valore delle partecipazioni pubbliche: oggi lo Stato detiene il 27% di FT, di cui il 13.5% tramite il Fondo strategico e il 13.4% tramite l’Agence de Participations de l’Etat”.

In Italia, invece, si legge nella nota, “la politica sembra abbandonare al suo destino l’operatore storico, in attesa del predatore di turno che oggi, finalmente, ha svelato le sue carte acquisendo, a prezzi di saldo, il controllo della quarta azienda del Paese. Una possibilità ancora valida, se il Governo si degna di una giusta attenzione, considerando che i tempi per la realizzazione di una eventuale società della rete sono lunghi, è quella di creare una sottoscrizione di obbligazioni TI per 3 miliardi, da parte di Cdp, che si convertiranno successivamente in equivalenti azioni della società della rete”.

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