Una coalizione di 58 organizzazioni – tra cui aziende tecnologiche, associazioni industriali e produttori di dispositivi – ha presentato alla Commissione Europea una richiesta formale affinché la banda superiore dei 6 GHz (compresa tra 6.425 MHz e 7.125 MHz) venga destinata a uso Wi-Fi senza licenza. Il gruppo è guidato dalla Dynamic Spectrum Alliance, sostenitrice della necessità di un accesso più aperto allo spettro per favorire la competitività e l’innovazione.
Ma questa iniziativa si scontra con le pressioni di 12 tra i più importanti operatori mobili europei – tra cui Vodafone, Deutsche Telekom, Orange, Tim, Telefónica – che da settimane hanno intensificato le attività di lobbying a Bruxelles per ottenere l’assegnazione esclusiva della stessa porzione di spettro, destinandola al futuro standard 6G. Lo scontro è, nei fatti, una battaglia strategica su chi definirà l’architettura della connettività europea nei prossimi due decenni.
Il dibattito attorno alla banda 6 GHz non è solo tecnico. È uno scontro tra modelli di sviluppo, tra ecosistemi industriali e tra visioni divergenti su come abilitare la prossima fase della digitalizzazione europea.
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Le ragioni del Wi-Fi: accesso aperto e innovazione
Secondo i sostenitori del Wi-Fi, la banda 6 GHz è essenziale per far fronte alla crescente richiesta di connettività indoor, sempre più centrale in ambiti come smart working, e-learning, streaming video ad alta definizione e applicazioni IoT domestiche. Martha Suarez, presidente della Dynamic Spectrum Alliance, ha dichiarato che “la maggior parte del traffico dati in Europa transita attraverso reti Wi-Fi: bloccarne l’evoluzione significherebbe frenare l’accesso universale alla banda larga“.
Il fronte Wi-Fi sostiene inoltre che l’apertura dell’intera banda superiore – come già fatto da Stati Uniti, Canada, Corea del Sud e Brasile – sarebbe un allineamento strategico dell’Europa ai mercati più avanzati. Consentirebbe di implementare pienamente lo standard Wi-Fi 6E e facilitare la futura transizione al Wi-Fi 7, con benefici in termini di latenza, capacità e velocità.
Inoltre, secondo le aziende firmatarie della richiesta, un approccio aperto allo spettro può stimolare l’innovazione delle pmi, dei fornitori locali di servizi e dei settori industriali che puntano sull’edge computing e sulle reti private, senza dover ricorrere alle infrastrutture degli operatori mobili.
Banda 6 GHz come necessità per il 6G
Dal lato opposto, gli operatori mobili vedono nella banda 6 GHz un elemento chiave per costruire le reti 6G. Secondo quanto emerso da una lettera congiunta inviata alla Commissione Europea, questa porzione di spettro sarebbe l’unica immediatamente disponibile per garantire la continuità tra l’attuale 5G Advanced e le architetture ultra-dense e ultra-veloci del 6G.
Le telco avvertono che, senza una decisione favorevole, l’Europa rischia di restare indietro rispetto a Stati Uniti, Giappone e Cina nello sviluppo delle reti mobili di nuova generazione. Il 6G – la cui commercializzazione è prevista attorno al 2030 – sarà abilitante per servizi come la realtà estesa (Xr), la comunicazione olografica, la mobilità autonoma e l’industria 5.0. Tutti scenari che richiederanno capacità spettrale elevatissima e latenza prossima allo zero.
Gli operatori chiedono quindi un’assegnazione esclusiva e licenziata della banda, sottolineando che solo una gestione centralizzata e regolamentata può garantire prestazioni stabili, affidabilità e sicurezza in ambiti critici come la sanità, i trasporti e le infrastrutture strategiche.
Allocazione della banda 6 GHz: implicazioni strategiche per l’Europa
La decisione sull’allocazione della banda 6 GHz rappresenta una scelta di indirizzo strategico per l’Europa. Una eventuale apertura completa della banda al Wi-Fi potrebbe democratizzare l’accesso alla connettività, abbattere le barriere d’ingresso per gli operatori più piccoli e sostenere un modello decentralizzato di innovazione. Ma comporterebbe anche il rischio di frammentazione e saturazione dello spettro, specialmente nei centri urbani ad alta densità.
Viceversa, assegnare la banda agli operatori mobili fornirebbe loro le risorse necessarie per pianificare il 6G e garantire copertura uniforme e prestazioni prevedibili. Ma potrebbe accentuare la dipendenza da pochi grandi attori infrastrutturali, rallentando l’innovazione orizzontale e limitando la concorrenza nei mercati Wi-Fi.
A rendere la questione ancora più complessa è il fatto che l’Europa, rispetto ad altre aree del mondo, non ha ancora adottato una posizione univoca. I Paesi membri mostrano divergenze significative nelle politiche dello spettro, e il rischio è quello di un mosaico regolatorio che ostacoli lo sviluppo armonizzato del mercato digitale continentale.
Prossimi passi: verso il Digital Networks Act
La Commissione Europea è chiamata a dirimere la questione entro la fine del 2025, nell’ambito del nuovo pacchetto legislativo noto come Digital Networks Act, che ha l’obiettivo di rafforzare la coerenza delle politiche di connettività tra gli Stati membri.
Un momento chiave sarà l’incontro del Radio Spectrum Policy Group (Rspg) previsto per il 17 giugno, dove verranno discusse le prime raccomandazioni. Ma la partita è tutt’altro che chiusa. La pressione delle lobby industriali su entrambi i fronti è ai massimi livelli e molti governi nazionali stanno rivedendo le proprie posizioni alla luce delle implicazioni economiche e tecnologiche.
Intanto, le associazioni europee dei consumatori, le autorità nazionali per le telecomunicazioni e i fornitori di tecnologia stanno preparando una serie di studi di impatto per supportare le rispettive visioni, con l’obiettivo di influenzare la futura decisione comunitaria.
Una sfida che ridefinisce l’equilibrio del mercato
La contesa per la banda 6 GHz è più di una semplice disputa tecnica. È lo specchio di un’Europa che si interroga sul proprio futuro digitale: centralizzato o distribuito, verticale o orizzontale, regolato o libero. La posta in gioco è altissima, non solo per le imprese coinvolte, ma per tutto il sistema delle telecomunicazioni e, più in generale, per la sovranità tecnologica del continente.
Il risultato finale influenzerà direttamente le politiche industriali, le strategie di investimento e le scelte di regolazione per gli anni a venire. E proprio per questo, è fondamentale che la decisione sia presa tenendo conto non solo delle pressioni economiche, ma anche delle esigenze di equità, accessibilità e innovazione diffusa.