Non servono ulteriori target europei per la difussione dell’ultrabroadband (UBB) rispetto a quelli già stabiliti nell’Agenda digitale. E’ la conclusione di uno studio della Florence School of Regulation Communications and Media che ha analizzato i rusultati della consultazione pubblica avviata dalla Ue sui target per la banda larga.
Lo studio parte proprio dalle considerazioni su cui si basa la consultazione pubblica sopra citata, e sottolinea come uno degli strumenti usati dalla commissione per favorire lo sviluppo dell’ultra broadband, ossia fissare target uniformi di copertura, penetrazione e velocità per tutti i Paesi, non abbia avuto gli effetti desiderati, né in termini di maggiori investimenti né di adeguate policy pubbliche. E se è vero che i target sono considerati volontari e non vincolanti, è vero anche che essi hanno un impatto considerevole sugli investimenti e sulle policy di intervento pubblico. Le analisi effettuate nello studio partono da un presupposto importante: per assegnare in modo corretto e costruttivo i target di sviluppo della tecnologia fast-broadband e ultrafast-broadband a livello europeo occorre prima una chiara e dettagliata analisi economica e tecnologica, in termini di costi e di benefici degli investimenti che saranno posti in essere nei paesi europei, sia in termini di domanda e offerta di servizi, sia in termini di scelta della tecnologia da applicare, in modo da rendere i target realistici.
Prima di tutto occorre analizzare i razionali per rendere uniformi gli obiettivi di sviluppo dell’UBB in Europa: qui lo studio sottolinea il fatto che lo sviluppo dell’UBB in termini di copertura e soprattutto di penetrazione produce esternalità differenti a seconda delle caratteristiche economiche e sociali dei paesi europei e perfino delle diverse aree di un singolo Paese: ed è difficile estrapolare gli effetti dello sviluppo dell’UBB in un Paese senza considerare tali caratteristiche. Quindi proporre dei target uguali in tutti gli Stati Membri non sembra essere la strategia migliore.
E ciò è ancor più vero nel caso in cui si tenda a scegliere target che spingano in modo uniforme verso lo sviluppo dell’Ftth: le evidenze riscontrate potrebbero supportare tale preferenza nei paesi ad economia maggiormente sviluppata, mentre potrebbero rappresentare un ostacolo allo sviluppo dell’UBB nei paesi in cui vi sia una situazione economica peggiore. Con riguardo al secondo caso, lo studio evidenzia l’esistenza di una maggiore propensione da parte degli utenti a pagare per una connessione a 30 Mbit/sec, ma una minore propensione marginale a pagare per una connessione a 100 Mbit/s od oltre. Anche in tale ambito, l’Europa non si presenta uniforme.
In definitiva, lo studio afferma chiaramente che per la diffusione dell’UBB non servono obiettivi più ambiziosi di quelli già determinati dalla attuale Agenda digitale. Peraltro, perseguire obiettivi ancora più sfidanti di quelli attuali potrebbe indirizzare le policy di investimento pubblico verso dinamiche di offerta e non verso quelle relative alla domanda. In altre parole, verrebbe privilegiato l’obiettivo di copertura a spese dell’adozione (penetrazione). Dal momento che è l’utilizzo delle reti, e non la mera disponibilità, a generare welfare, il beneficio sociale legato alla sola copertura sarebbe dubbio.
Lo studio affronta anche tematiche di neutralità tecnologica in relazione alla scelta dei target, e afferma che i decisori dovrebbero adottare misure tali da tenere in massima considerazione l’uso delle informazioni private, concludendo che una indicazione di obiettivi in termini di copertura e velocità sia la scelta migliore rispetto ad una policy che prescriva specifiche architetture di rete. Inoltre, il fatto che gli obiettivi siano uniformi sulla carta (ma non necessariamente in pratica) lascia spazio a differenze di implementazione tecnica tra i vari Paesi che in questo modo possano tenere conto delle eterogeneità e dei diversi “punti di partenza”.
Gli impatti che la scelta dei targets possono avere nelle scelte e nelle decisioni dei policy maker rappresentano un problema che deve essere gestito: fissare target ambiziosi non solo potrebbe creare l’aspettativa di ingenti investimenti pubblici (cosa alquanto improbabile nell’attuale situazione) ma comporterebbe anche un “congelamento” degli investimenti da parte degli operatori privati, i quali si porrebbero in una posizione di attesa di sussidi pubblici anche in aree dove potrebbe esistere un business case adatto a investimenti privati. Al riguardo, è importante sottolineare che, a parere degli Autori, focalizzare gli investimenti pubblici solo sulle connessioni ultra-veloci (da 100 Mbit/s in su) comporterebbe costi unitari maggiori e dunque una riduzione della copertura a parità di risorse impegnate.
Risulta evidente come il dibattito sullo sviluppo futuro della rete Ngn sia molto complesso e coinvolga molteplici attori portatori di differenti interessi. Occorre tener conto di tutte le esternalità positive che ne derivano, e gestire anche eventuali problematiche relative al controllo del market power nonché disequilibri fra interventi pubblici e investimenti privati. Per favorire uno sviluppo uniforme delle reti Ngn, lo studio suggerisce in conclusione una “soft industrial policy” basata sul “realismo industriale” (maggiore enfasi su tematiche di analisi della domanda e disponibilità a pagare da parte della clientela) ma coerente con i principi della razionalità economica.