In Italia il fenomeno delle connessioni a banda ultralarga “mobile only” continua a essere molto consistente, costituendo un unicum in tutta l’Unione europea. Mentre nel nostro Paese le famiglie che utilizzano solo connessione mobili sono addirittura più del 30% del totale delle unità connesse, in Germania si attestano al 5%. Addirittura in Francia la percentuale si azzera, e lo stesso avviene in Spagna e in Gran Bretagna.
A sottolinearlo sono i dati diffusi da Infratel (aggiornati a fine novembre 2025) in occasione di un evento organizzato dall’associazione “Quadrato della Radio” a Villa Grifone – Pontecchio Marconi.
La conferenza è stata l’occasione per approfondire in modo analitico quanto fatto e quanto ancora resta da fare nel processo di diffusione della connettività ad alte prestazioni in rapporto ai bandi del Pnrr.
Indice degli argomenti
Uno scenario caratterizzato da luci e ombre
La fotografia scattata da Infratel rappresenta uno scenario caratterizzato da luci e ombre. Il Piano Isole Minori, per esempio, ha visto allacciate 21 realtà rispetto alle 18 previste con un target raggiunto del 118%. Per il Piano 5G Backhauling si è arrivati al 96% della copertura, con 863 Km2 coperti. Più indietro il Piano Italia 5G che è al 77% del suo target, con 368 Km2 raggiunti a fronte di un obbiettivo di 500 Km2 entro giugno 2026. Quasi ultimato il Piano Sanità Connessa con 7.795 strutture sanitarie raggiunte (il 90%) su 8700 preventivate, mentre le sedi scolastiche cablate sono a oggi 7014 su 9000 ossia il 78%. In questo caso le difficoltà individuate sono state soprattutto legate alla vetustà di alcuni edifici e ai lavori di ristrutturazione in atto, che hanno in un qualche modo rallentato un processo ben avviato.
Per il Piano Italia 1 Giga, invece, rispetto all’obbiettivo di raggiungere 3,4 milioni di abitazioni (numeri civici) da collegare si è arrivati a 2,379,648 (circa il 70%). Va però detto che le indicazioni che arrivano dalla Commissione europea tendenzialmente rivedranno il target per l’Italia a 2,7 milioni di civici da collegare, entra la prima metà del 2026, generando così una situazione a oggi, rispetto al nuovo obbiettivo, di una copertura già realizzata che si attesta all’88%.
In generale le difficoltà nella diffusione della connessione per la fibra, visto il progresso fino a oggi, sono dovute in parte ai costi d’allacciamento (in rapporto al risultato e all’attivazione dell’utenza) di località remote nelle aree più periferiche e in parte ad una significativa resistenza nell’attivazione dei successivi contratti, sulle linee Ftth, laddove la fibra è stata allacciata: i contratti sono rallentati dalla grande diffusione delle connessioni “mobile”, che hanno frenato il raggiungimento di alcuni obbiettivi nelle aree bianche del Piano Italia 5G.
In questo contesto, nonostante i progressi della copertura Ftth e prezzi molto concorrenziali rispetto al resto d’Europa, in Italia il take-up rimane insoddisfacente. Il tasso di adozione dei privati di Ftth è infatti tra i più bassi di tutti i paesi europei, rimanendo al di sotto del 30%, mentre la media Eu è del 55%.
Le altre criticità
Tra i punti critici dello scenario italiano c’è anche lo scotto che ancora pagano alcune zone per le diffidenze di natura ambientale e sociale (dimostrate come ingiustificate da diversi studi) sulla realizzazione delle torri radio per il 5G (almeno 2/300 stazioni radio su 1200 sono bloccate proprio per l’opposizione delle amministrazioni locali).
Ultima problematica, infine, emersa nell’analisi della realizzazione delle ormai vitali connessioni ad alto potenziale di dati, è la complessa ricostruzione dei dati anagrafici e dei catasti sui territori, dove ancora oggi esistono registri non aggiornati, non digitalizzati e, in taluni casi, non corrispondenti alla reale composizione territoriale. Ciò, ad esempio, ha causato un disallineamento significativo tra il cablaggio possibile e quello realizzato soprattutto nelle aree cosiddette “super bianche” e non solo in quelle “grigie”.
Data center, Hipc e il nuovo ruolo delle Telco
I lavori del convegno sono proseguiti con un dettagliato focus sul ruolo delle telco in due industrie fondamentali della filiera digitale: data center e high performance computing. È emerso come nel nostro Paese lo stato attuale delle due industrie e le loro prospettive presentino qualche elemento di differenza. Per il supercalcolo, siamo indubbiamente all’avanguardia nel contesto europeo ed anche le prospettive sono promettenti (da settembre, è attiva al Tecnopolo di Bologna una AI factory, e l’Italia è in corsa per una delle 5 Gigafactory promosse e co-finanziate dalla Commissione europea).
Per quanto riguarda i data center, si registrano molte iniziative e progetti di investimento, ma debbono essere affrontati e risolti problemi legati all’approvvigionamento di energia ed acqua, alla semplificazione delle procedure di autorizzazione, alla stessa regolazione del settore su cui il Governo ha presentato un Piano strategico, nonché ad un fenomeno di “sovraffollamento” di talune aree.
In questo scenario, per le Telco si presentano importanti opportunità di svolgere un nuovo ruolo da protagonisti, con una evoluzione verso il modello TechCo, per divenire una sorta di fabbriche di potenza digitale.
La partita dello sviluppo, infatti, non sarà più giocata unicamente sulla rete (come in molti fino a qualche anno fa potevano ipotizzare), ma su chi controlla e abilita la capacità computazionale. Questo perché i data center e l’Hpc sono infrastrutture critiche che sostengono lo sviluppo di: Intelligenza artificiale, Servizi pubblici digitali, Difesa cibernetica, Industria 4.0, Cloud nazionali e sovrani. In questo contesto, le Telco, potrebbero dover prendere coscienza di non essere più solo semplici “trasportatori qualificati di bit” ma nuovi attori che possono decidere dove nasce, si elabora e rimane il reale valore dei dati.
L’Italia si troverà davanti a un bivio industriale: o gioca da protagonista la partita dei data center e del supercalcolo, avvalendosi dell’apporto di competenze e tecnologie digitali in possesso delle Telco, oppure rischia di diventare un semplice “mercato” per le grandi piattaforme internazionali, perdendo così la sovranità digitale – a cominciare da quella sui dati – e quindi gran parte del valore aggiunto dell’ecosistema digitale.












