Bernabè: “Il modello Fiat? Meglio quello tedesco”

Secondo il numero uno di Telecom Italia per il rilancio del nostro Paese servono riforme sull’onda di quelle avviate in Germania. “Confindustria? Sbaglia a generalizzare”

Pubblicato il 25 Gen 2011

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Riforme alla tedesca per modernizzare il mercato del lavoro e
l’economia e nessuno strappo alle relazioni industriali e
un’agenda per la crescita. sulla scia di quella elaborata
dall’ex premier tedesco Schroeder nel 2003. È la “ricetta”
che l’Ad di Telecom Italia, Franco Bernabè, rivela in un
colloquio con Il Foglio.
Secondo Bernabè quello che ha deciso una singola azienda come la
Fiat, non è detto che funzioni anche per altre grandi imprese.
“Quello che ha deciso Fiat riguarda la Fiat – dice l’Ad di
Telecom – a me non sembra che quello che va bene per un’azienda
debba poi risultare obbligatorio per gli altri. Ogni azienda, ogni
settore ha la sua specificità”.

Eppure – ricorda il Foglio – il presidente di Confindustria, Emma
Marcegaglia ha assicurato che i grandi gruppi non aspettano altro
che sostituire i contratti nazionali con quelli aziendali. “Non
è così, non mi risulta che i grandi gruppi la pensino così –
risponde il manager – E comunque io parlo solo a nome di Telecom.
Certo i grandi gruppi affrontano problemi inediti e difficili. Ma
credo che la risposta sia quella di ricercare il più alto grado di
condivisione con i sindacati nel rispetto della diversità dei
ruoli. Così ha agito Telecom”. L’azienda ha firmato lo scorso
agosto un accordo con le rappresentanze sindacali (Cgil compresa)
che prevede la riqualificazione e il trasferimento di addetti dalle
attività in esubero ad attività dove c’è più bisogno di
personale. Un accordo che Bernabè non esita a definire “alla
tedesca: all’insegna del dialogo, della partecipazione, della
flessibilità”.
Per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori agli utili, il
numero uno di Telecom ribadisce che “è al modello tedesco che
dobbiamo guardare senza focalizzarci sui singoli aspetti”.

“La risposta alla bassa crescita italiana non può essere
delegata alle aziende – prosegue – Manca nel governo una
visione che concentri sforzi e azioni in un’agenda riformatrice
come quella che nel 2003 avviò l’ex primo ministro Schroeder con
la commissione Hartz”.
L’esecutivo ha però esteso la cassa integrazione, realizzato una
riforma previdenziale senza scioperi e, detassando il salario
legato alla produttività, favorito l’investimento Fiat in
Italia.
“Va dato merito soprattutto al ministro del Lavoro Sacconi il
varo di singoli e talvolta apprezzati provvedimenti – sottolinea
Bernabè – Ma dobbiamo avere uno sguardo sistemico per affrontare
problemi che si sono accumulati in Italia. Nel periodo 2000-2010 il
Pil pro-capite italiano è stato più basso della media Ue, la
produttività del lavoro è più bassa che in Germania, Francia e
Spagna e il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato
più che in altri Paesi”.

Ma se la politica deve assecondare l’economia, che fare se –
come in Italia – lo stato dei conti pubblici richiede di
stringere la cinghia?
“La risposta non può che essere un processo riformatore di ampio
respiro come quello impostato da Schroeder e poi realizzato in
Germania – conclude – Rivedendo l’assetto del mercato del
lavoro all’insegna della flessibilità, limitando i sussidi alla
disoccupazione e consentendo, con altre riforme, la trasformazione
strutturale dell’industria e dell’economia.”

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