L'INCHIESTA

Byod, il paradigma del fai-da-te

Dalle grandi alle piccolissime aziende, a ciascuno il suo Byod. La maggiore criticità resta la sicurezza: negli Usa il 57% delle imprese richiede la password attivata

Pubblicato il 20 Mag 2013

Antonio Dini

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Un mondo di informatica fai-da-te. Il Byod cresce ovunque, soprattutto negli Usa, ma anche nei paesi di più recente informatizzazione. Cresce nelle grandi imprese, ma cresce anche nelle piccole e piccolissime aziende, dove la dotazione tecnologica è essenziale (pc e basta) e portatile, smartphone e tablet sono a piacere del dipendente.

Negli Usa, il paese dove il fenomeno è più studiato, i numeri sono chiari: il 60% delle imprese offre un programma di Byod per i dipendenti, che secondo Gartner diventerà il 90% entro la fine del 2014. Questo dato viene confermato anche dai rilievi fatti da Forrester Research: secondo una survey rivolta ai responsabili tecnologici delle aziende americane, il 34% dei Cio ritiene che gli impiegati accedono comunque alla rete aziendale con i loro apparecchi personali e il 69% degli utenti conferma di usare i propri strumenti anche sul lavoro.

La cosa più rilevante però è il tipo di reazione che gli utenti del Byod in ambito aziendale potrebbero avere se venisse loro tolta la possibilità di usare il proprio iPad o il proprio Galaxy Tab o se venisse loro chiesto di limitare l’utilizzo di alcune funzioni in cambio di accesso alla rete interna delle aziende. La battaglia per estendere il controllo aziendale oltre il perimetro degli apparecchi che fanno parte ufficialmente della dotazione dell’impresa, sino a quelli personali, cozza infatti con un muro di dipendenti che preferiscono fare da sé e non tollerano interferenze sui propri apparecchi .

Secondo Gartner e di Forrester praticamente l’unanimità (il 94%) dei dipendenti sarebbe “molto frustrato” se l’azienda avesse il potere di cancellare i dati personali dall’apparecchio utilizzato per accedere ai dati aziendali (vanificando un caposaldo delle policy di sicurezza per la cancellazione remota dei dati in caso di furto o smarrimento), mentre quasi la metà (il 43%) non avrebbe nessuna voglia di smettere di usare le proprie applicazioni personali (anche data-intensive, come i servizi musicali in streaming) dagli apparecchi con cui lavora. Due terzi dei dipendenti (il 64%) non sono d’accordo con l’idea di dover inserire una password per entrare nei servizi personali durante l’orario di lavoro e il 49% addirittura preferirebbe non avere accesso ai dati aziendali se questo volesse dire non poter usare i propri sistemi di cloud, i più diffusi dei quali sono iCloud di Apple e Android Backup Manager di Google.

Negli Usa l’80% delle aziende che permette pratiche di Byod ha più di 2mila dipendenti. Il 50% richiede ai dipendenti che vogliano entrare nei programmi Byod di coprire tutti i costi (acquisto e manutenzione dell’apparecchio), cosa che i dipendenti fanno più che volentieri. Il 45% invece sussidia in parte l’acquisto, per una spesa comunque inferiore a quella di un prodotto tradizionale. Dal punto di vista della sicurezza, secondo una ricerca di Varonis Systems, il 57% delle aziende richiede la password attivata, il 35% una modalità di cancellazione dei dati da remoto, il 24% l’uso di crittografia e il 16% il non utilizzo per scopi privati degli apparecchi.

Secondo Matrix24, infine, nonostante i quattro quinti delle aziende ritengano che il “mobile device management” sia la chiave dell’evoluzione dell’IT nel prossimo scenario tecnologico, solo il 15% utilizza soluzioni di Mdm. La decisione di utilizzare in pratica apparecchi personali in ambito lavorativo viene presa al 31% dal responsabile Ict, al 23% dall’amministratore delegato e nel 21% dei casi da nessuno in particolare, cioè viene fatto spontaneamente dai dipendenti.

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