Canone frequenze, Meta (Pd): “Intervenga il Governo”

Il presidente della commissione Trasporti e Tlc della Camera: “Dall’Authority un passo indietro per equità e ragionevolezza. Vengono penalizzati gli editori indipendenti, e si prospettano mancati introiti per lo Stato”

Pubblicato il 02 Ott 2014

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“La moral suasion del ministero sul Agcom non è bastata, e ora bisognerà rimediare”. Così Michele Meta (Pd), presidente della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, spiega la decisione di convocare in audizione non soltanto l’Authority, come aveva fatto a ridosso della votazione del Consiglio Agcom sui nuovi canoni per le frequenze Tv, ma anche il Governo. Per capire come intenda affrontare una questione che “penalizza gli editori indipendenti” e lascia intravedere “mancati introiti per lo Stato”.

Meta, è soddisfatto del nuovo regolamento approvato da Agcom?

No, perché è un passo indietro dal punto di vista dell’equità e della ragionevolezza. Prima c’era un parametro ragionevole, quello del fatturato, che teneva conto di un panorama piuttosto eterogeneo: accanto ai colossi, come Rai e Mediaset, esistono anche delle realtà che svolgono un servizio importante a livello locale ma che, naturalmente, hanno risorse piuttosto limitate. Non entrano in concorrenza diretta con i grandi network, ma giocano un campionato diverso; hanno affrontato negli ultimi anni una riconversione al digitale piuttosto onerosa per i propri bilanci, eppure sono sopravvissute; rappresentano, in ogni caso, una pluralità di voci ascoltate da milioni di italiani; infine, e non è un dettaglio, sono piccole e medie imprese che danno lavoro a migliaia di famiglie, e che in questo modo rischiano di chiudere.

Quali sono ancora i punti critici?

Quelli evidenziati da tempo da varie associazioni del settore. Si è data un’interpretazione piuttosto discutibile della legge di riferimento, la 16 del 2012, e si è deciso di spostare il criterio sugli impianti e sui multiplex, ossia sugli operatori di rete anziché sugli editori. Senza entrare troppo nel tecnico, riassumerei dicendo che una decisione di questo genere finisce per premiare gli operatori di rete verticalmente integrati con i fornitori di contenuti e per penalizzare gli editori indipendenti. Inoltre, se i conti non verranno smentiti, l’altra grande criticità riguarda i mancati introiti per lo Stato.

Avete poi sentito Agcom in Parlamento?

Ancora no: li abbiamo convocati e siamo in attesa. Temo comunque che ora non basti più: bisognerà infatti sentire anche il governo al riguardo, per capire quali intenzioni abbia. Da un lato, l’esecutivo si è mosso per tempo, perché l’avviso all’Agcom sull’inopportunità del provvedimento è dei mesi scorsi, ma dall’altro la moral suasion non è bastata e ora bisognerà rimediare. Nel medio periodo, siamo d’accordo con l’annuncio del sottosegretario Giacomelli di voler riformare la disciplina in materia di frequenze, contributi e canoni; nel breve, però, c’è un problema di entrate da risolvere in fretta. Le possibilità sono due: o la nuova disciplina non è a costo zero per le casse pubbliche, e in questo caso va chiarito da dove verranno tolte le risorse per tappare il buco, oppure si pensa davvero di caricare tutto il peso degli sconti ai grandi network sulle spalle delle imprese locali, che già lottano a mani nude contro la crisi del settore.

Perché Cardani unico oppositore?

Forse, più che a me, dovrebbe chiederlo agli altri commissari. Posso solo dire di avere apprezzato il suo voto contrario e di non essermi stupito per quello favorevole dei commissari Agcom nominati dal Centrodestra: segno che a Berlusconi, evidentemente, la partita sta molto a cuore.

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