Martedì 16 settembre a Bruxelles, Mario Draghi e Ursula von der Leyen torneranno insieme sul palco per la conferenza “Un anno dopo il Rapporto Draghi”. Non sarà soltanto una commemorazione simbolica: l’appuntamento rappresenta il momento per valutare quanto la Commissione abbia fatto proprio l’impianto del documento che dodici mesi fa aveva messo al centro la competitività europea come questione vitale, da cui dipendono il futuro industriale, tecnologico e geopolitico dell’Unione.
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Un bilancio a dodici mesi
Dalla pubblicazione del Rapporto Draghi, Bruxelles ha accelerato come raramente accaduto: Digital Networks Act, gigafactory per l’intelligenza artificiale, strategia quantistica, iniziativa Choose Europe per attrarre talenti, Clean Industrial Deal e piani industriali settoriali per auto, acciaio e chimica. Sul versante difesa, il varo dell’iniziativa Safe da 150 miliardi di euro. Sul fronte mercato interno, sei pacchetti “omnibus” per la semplificazione e l’avvio della nuova strategia per il mercato unico.
E proprio il mercato unico, con un focus sulle Tlc, è tornato al centro del discorso sullo Stato dell’Unione della Presidente von der Leyen, che ha parlato di “più grande risorsa dell’Europa, ma ancora incompiuta”. Il Fondo monetario internazionale ha stimato che le barriere interne equivalgano a un dazio del 45% sui beni e addirittura del 110% sui servizi. Un freno enorme per imprese e cittadini. Ecco perché la Commissione ha messo in agenda una roadmap fino al 2028, con il “28° regime” per consentire alle imprese innovative di operare sotto un unico quadro giuridico e con l’introduzione della quinta libertà, dedicata a conoscenza, ricerca e innovazione.
Le tlc come test decisivo
Fra i tre settori chiave ancora incompiuti – finanza, energia e telecomunicazioni – è proprio sulle Tlc che si misura oggi la capacità dell’Europa di fare sistema. Le reti sono la spina dorsale dell’economia digitale, e senza un mercato unico pienamente funzionante l’Europa non potrà mai competere con Stati Uniti e Asia.
I dati parlano chiaro: secondo uno studio di Arthur D. Little per Connect Europe, gli operatori europei devono confrontarsi con 34 obblighi regolatori distinti, spesso sovrapposti e incoerenti, che rendono difficili le offerte transfrontaliere e gravano sulla sostenibilità economica del settore. Tra il 2014 e il 2023 la capitalizzazione media delle telco europee è calata dell’1,8% annuo, mentre i competitor globali crescevano fino al 36%.
Eppure, nello stesso periodo, le telco hanno decuplicato l’uso di dati mobili per cittadino e ridotto l’85% del costo medio per GB, garantendo accesso diffuso e conveniente alla connettività. Una dimostrazione di resilienza che però non può bastare senza una cornice politica e regolatoria in grado di sostenere investimenti massicci e duraturi.
Digital Networks Act: tra ambizioni e divisioni
Qui entra in gioco il Digital Networks Act (Dna), atteso per fine anno e presentato come la grande riforma destinata a creare un vero mercato unico delle Tlc. L’obiettivo: ridurre gli oneri, uniformare le regole, favorire il consolidamento e attrarre investimenti. Ma la proposta è già diventata terreno di scontro.
I grandi operatori vedono nel Dna la possibilità di uscire dalla frammentazione e ottenere la “scala” necessaria per reggere il confronto globale. “La scala è regina”, ha ricordato Vivek Badrinath della Gsma: senza consolidamento l’Europa rischia di restare irrilevante. Ma sul fronte opposto si levano voci critiche: Ecta, associazione degli operatori alternativi, avverte che ridurre il peso della regolazione ex-ante significherebbe smantellare vent’anni di progressi nella concorrenza. La stessa Agcom, nella sua risposta alla consultazione, ha difeso l’attuale sistema come leva fondamentale per la diffusione della banda ultralarga e per un ecosistema aperto e competitivo.
La spaccatura riflette la tensione fra due visioni: da un lato chi chiede certezza agli investitori e la possibilità di creare campioni europei, dall’altro chi teme che l’allentamento delle regole si traduca in concentrazioni oligopolistiche e in una perdita di garanzie per i consumatori.
Draghi e il destino del mercato unico
In questo scenario, la presenza di Draghi al fianco della Presidente assume un valore che va oltre l’occasione celebrativa. L’ex premier italiano ha fatto della competitività la chiave di lettura del futuro europeo, e il Digital Networks Act diventa oggi la cartina di tornasole della sua visione: senza un mercato unico delle Tlc entro il 2028, le ambizioni di leadership globale rischiano di restare sulla carta.
Per l’Italia, che ospita grandi operatori e infrastrutture strategiche, la posta in gioco è altissima: significa inserirsi da protagonista nella nuova architettura europea, influenzare le regole e attrarre investimenti.
Un anno dopo il Rapporto Draghi, l’Europa ha avviato il percorso. Ma il traguardo resta lontano e irto di divisioni. La conferenza di Bruxelles dirà se la volontà politica sarà sufficiente per trasformare il mercato unico da promessa incompiuta a leva concreta di crescita. E se il Digital Networks Act saprà davvero segnare il passaggio a una nuova fase, dove le Tlc non siano più l’anello debole, ma la colonna portante della competitività europea.