L’abolizione del roaming entro fine 2015, e le vivaci polemiche attorno alle nuove regole sulla net neutrality, si sono accaparrate una larga fetta dei riflettori mediatici. Eppure il testo di compromesso sul mercato unico delle telecomunicazioni (l’ormai famoso pacchetto “Kroes”), a cui la commissione Itre (Industria, ricerca ed energia) del Parlamento di Strasburgo ha dato proprio ieri luce verde, racchiude novità dirompenti anche in materia di spettro. Con un ulteriore e importante passo in avanti nell’armonizzazione europea delle modalità e tempistiche che sovrintendono all’assegnazione – che avviene su base nazionale – delle frequenze per la telefonia mobile. Centrale è una manciata di emendamenti che, tra gli altri, fissano ad un minimo di 25 anni la durata delle licenze concesse.
Quest’ultimo provvedimento avrebbe per giunta valore retroattivo andando ad impattare su tutti i contratti di concessione già a regime. Una buona novella per i portafogli degli operatori (nella sola Germania il costo delle rinnovo delle licenze dei tre principali operatori mobili lambirebbe i 180 miliardi di euro). Una iattura per i forzieri statali, a causa delle ingenti perdite generate dal conseguente annullamento di molte aste. In questo modo non verrebbero previste nuove aste per “rinnovare” nessuna delle licenze già in mano agli operatori. In ogni caso, “i governi possono compensare la perdita di miliardi di incassi delle aste – dice Martin Sims di PolicyTracker – aumentando le tariffe annuali per l’utilizzo di spettro”. Il che porta a un’altra domanda, dice Sims: “Come verrebbero calcolati i nuovi canoni?”
Nella maggior parte dei paesi membri la durata media delle concessioni si attesta attorno ai 15-20 anni, ma non è raro imbattersi in concessioni da 10-15 anni. Una precedente bozza del testo approvato ieri dalla commissione ITRE dell’Europarlamento aveva addirittura previsto una soglia minima di 30 anni.
La misura non era tuttavia contemplata nella proposta di regolamento licenziata in settembre dal commissario per l’agenda digitale Neelie Kroes.
Le nuove regole sulle frequenze per il mobile approvate ieri, spingono anche a tutta dritta sulla liberalizzazione dei diritti d’uso, incentivandone lo scambio secondario, anche a livello transnazionale. L’obiettivo dichiarato è quello di massimizzare l’uso dello spettro, per definizione una risorsa scarsa, attraverso un’iniezione di flessibilità. Dunque incoraggiando il commercio e l’affitto di porzioni inutilizzate. In termini generali, il Parlamento europeo conferma e rafforza il desiderio della Commissione Ue di dare più coordinamento a livello europeo all’assegnazione delle licenze, nell’ottica di favorire gli investimenti promuovendo maggiore coerenza e certezza regolamentari tra i diversi regimi statali.
Questo percorso era stato già intrapreso con l’adozione nel 2012 del Radio Spectrum Policy Program, vera e propria roadmap europea di cinque anni, che tra le altre cose ingiungeva ai paesi membri di liberare a favore degli operatori mobili ampie porzioni (gli 800 MHz) un tempo riservate alla tv analogica.
Secondo la Commissione europea i rallentamenti e le inefficienze amministrativi, per non parlare dei costi troppo ingenti, che in molti paesi membri hanno caratterizzato negli anni passati le gare d’assegnazione delle licenze sono in parte responsabili del ritardo accumulato dall’Europa nella diffusione delle reti a banda larga mobile di nuova generazione. Ai governi viene inoltre spesso imputato di non utilizzare i proventi delle aste per contribuire all’ammodernamento delle infrastrutture digitale. Ma considerato che questi restano un’importante risorsa per le finanze nazionali, appare difficile che il Consiglio – il secondo ramo legislativo europeo – sposi senza reticenze l’allungamento della durata delle licenze.
Dopo che l’ultima seduta plenaria del Parlamento europeo, in programma i primi di aprile, approverà in prima lettura il pacchetto Kroes, è infatti probabile che gli stati membri intervengano sul testo per addolcirne alcune misure. E quelle sullo spettro sono tra le candidate più papabili ad eventuali modifiche. Se ne riparlerà dunque all’inizio della prossima legislatura, quando il nuovo Parlamento europeo dovrà affrontare una seconda discussione del testo e cercare un difficile compromesso con il Consiglio.