Google finisce ancora nel mirino delle legge Usa per presunti comportamenti anti-concorrenziali denunciato da consumatori. Nel mirino della Corte Distrettuale del Northern District of California sono finite in particolare le pratiche monopolistiche nel campo dei servizi di ricerca su Internet e da device mobili, mercato dove a tutto febbraio scorso la società vantava – dati ComScore – una quota di mercato del 67,5%.
Nella class action si accusa Google di aver accresciuto la propria presenza nel settore dell’Internet search integrando le sue applicazioni, come Google Play e YouTube, nei dispositivi mobili Android attraverso i cosiddetti Mobile Application Distribution Agreements. Si tratta di accordi stretti con la maggior parte dei vendor di prodotti Android che imporrebbero, di fatto, ai produttori di impostare la ricerca di Google come applicazione predefinita.
Per Steve Berman, l’avvocato che rappresenta i consumatori nella class action, BigG non ha conquistato il mercato grazie a un servizio di ricerca migliore degli altri ma solo tramite azioni anticoncorrenziali e di manipolazione del mercato.
Google, per tutta risposta, ha fatto sapere in una nota che “chiunque può utilizzare Android senza il motore di ricerca Google e chiunque può utilizzare Google senza Android. Dall’introduzione di Android, la maggiore concorrenza negli smartphone ha offerto ai consumatori una possibilità di scelta più ampia e a prezzi inferiori”.
L’azione intentata davanti il tribunale californiano è solo l’ultima di una serie di class action piovute in capo a Google. Risale a qualche settimana fa la decisione di Mountain View di patteggiare per chiudere la causa che vedeva diverse aziende tech accusate di di aver fatto “cartello” per non rubarsi gli impiegati a vicenda per mantenere bassi gli stipendi.
La class action in questione rappresentava 64mila lavoratori della Silicon Valley.