INNOVAZIONE

Piol: “Agenda digitale, meno start up ma con più spessore”

“Occorre potenziare il sistema degli incubatori di imprese concentrandoli in pochi punti di eccellenza dove si possano generare meno start up, ma con più spessore”

Pubblicato il 07 Giu 2013

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Del decreto Crescita 2.0, lanciato dal governo lo scorso anno, Elserino Piol apprezza soprattutto le buone intenzioni. “Nel nostro Paese non si era mai affrontata in maniera organica la questione delle start up, e finalmente qualcuno lo ha fatto”. Però, nota il fondatore di Pino Partecipazioni, le migliori start up italiane che il suo fondo di venture capital ha aiutato a crescere fino a diventare grandi – realtà vincenti come Tiscali, Yoox o Vitaminic – sarebbero rimaste escluse da questa legge, perché non avrebbero rispettato i criteri sulla presenza di dottorandi e sul possesso di brevetti.

“Forse ci si è messo di mezzo qualche universitario troppo attivo” scherza Piol, che parte da qui per sottolineare che se l’Italia vuole avere start up innovative deve creare un ambiente adatto a farle nascere e crescere. Il primo problema delle start up italiane è che più che aziende “bambine”, destinate a diventare grandi, spesso queste imprese sono aziende nane, che nascono piccole e non hanno possibilità di crescere. Secondo Piol occorre innanzitutto potenziare il sistema degli incubatori di imprese concentrandoli in pochi punti di eccellenza dove si possano generare meno start up, ma con più spessore. Inoltre occorrono incentivi che spingano i pochi fondi di venture capital attivi in Italia a entrare in queste imprese, finanziarle, e poi lasciarle per realizzare il capital gain. Sarebbe anche utile pubblicizzare meglio le figure degli imprenditori di successo: “Tutti nel mondo conoscono Mark Zuckerberg, mentre qui pochi sanno chi è Federico Marchetti, che con Yoox sta avendo un successo mondiale”.

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