IL CASO

Rai a rischio senza rinnovo della concessione

L’accordo con lo Stato per il servizio pubblico scadrà il 6 maggio 2016, ma a oggi non esistono le regole per la proroga. Al momento viale Mazzini non potrà prendere impegni al di là di quel termine. Se il Parlamento non se ne occuperà in fretta il caos favorirà la concorrenza e potrebbe mettere in pericolo la continuità aziendale

Pubblicato il 14 Gen 2014

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Il 6 maggio 2016 scade la Concessione di servizio pubblico fra lo Stato e la Rai. In tutti i suoi recenti interventi il Viceministro Catricalà mette continuamente in rilievo come la Gasparri abbia statuito questa data per “terminare” la fine del servizio pubblico in esclusiva alla Rai senza prevedere alcuna procedura per il rinnovo della concessione: “Siccome la concessione di servizio pubblico scade per legge, bisogna aspettare la legge che stabilisca i termini della nuova concessione” ha ribadito all’Huffington Post.

Forse è venuto il momento di riflettere sulle conseguenze che in questa situazione di estrema incertezza si ripercuotono sulla solidità e sul valore dell’azienda pubblica Rai.

In quanto al valore, le dichiarazioni di Catricalà non lasciano ombra di dubbio: “Non è certo ora che si può parlare di privatizzazione, tutt’al più se ne potrà parlare in quel momento. Una cosa è privatizzare un’azienda con una concessione decennale o ventennale, altro è farlo per una società con una concessione che dura due o tre anni”.

Quindi finché il Parlamento non avrà varato una nuova legge che prefiguri i termini per il rinnovo della concessione, riassegnandola eventualmente alla Rai, la società posseduta dal Mef non ha un valore di mercato apprezzabile, anzi prospetticamente prefigura una bad company: senza le entrate garantite dalla tassa di possesso il deficit Rai sarebbe insostenibile.

I partiti in Parlamento non sembrano aver messo questo tema all’ordine del giorno; le ripetute esternazioni del viceministro dovrebbero suonare come un campanello di allarme; aprire una sessione dedicata alla riforma del sistema radiotelevisivo non è cosa di poco conto e storicamente genera notevoli fibrillazioni politiche.

Nei mesi scorsi qualcuno ha affrontato il tema del rinnovo della concessione proponendo di svolgere una consultazione pubblica “sul modello Bbc” ma ha tralasciato il particolare che in Uk è la Regina che concede il Royal Charter, che ha forza di legge; in Italia abbiamo un diverso assetto istituzionale: è il Parlamento che ha la competenza in materia.

La Rai ha cominciato a riflettere internamente sull’argomento del rinnovo affidando a un comitato formato da quadri e dirigenti la responsabilità di un libro bianco. Ma alla luce di quanto chiarito da Catricalà sarebbe forse opportuno che l’alta dirigenza Rai reclamasse con forza, e con il sostegno della proprietà, l’urgenza di un’azione che metta in salvaguardia il bilancio dell’azienda.

La lacuna normativa sulla procedure di rinnovo (voluta da Gasparri?!) comporta una serie gravissima di conseguenze sulla solidità della Rai: non potendo fin da oggi contabilizzare con certezza gli incassi del canone 2016 come potrà predisporre un piano industriale triennale? Come potrà gestire un piano finanziario, di investimenti e ammortamenti di medio periodo? Come potrà assumere e onorare gli impegni contrattuali con artisti e collaboratori che oltrepassino il 6 maggio 2016? In pratica già oggi è in pericolo la continuità aziendale.

Dal punto di vista dell’interesse pubblico quanto prima il parlamento metterà mano ad un intervento normativo che stabilisca le procedure di rinnovo della concessione meglio sarà: è del tutto evidente che tenere in fibrillazione costante la Rai per i prossimi due anni è il sogno di ogni concorrente (Mediaset, Sky, La7), ma la distruzione di valore per l’azienda di servizio pubblico che questo comporta è un ulteriore depauperamento del patrimonio del paese.

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