L'INCHIESTA

Reti Lte, di doman non c’è certezza

Roll out dei network 4G a rischio slittamento. Pesano l’incerta liberazione delle frequenze a 800 MHz da parte delle tv, le forti interferenze delle onde radio con il digitale terrestre e i limiti restrittivi sull’elettrosmog

Pubblicato il 02 Lug 2012

Paolo Anastasio

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La realizzazione delle nuove reti Lte in Italia rischia di slittare ben oltre le previsioni degli operatori che hanno fissato per il 2013 il roll out dei network 4G. Sono tre i fattori frenanti delle nuove reti, indispensabili per veicolare il traffico dati in esplosione nell’era del broadband mobile, in un mercato dove smartphone e tablet apriranno la strada dell’internet e del video in mobilità. In primo luogo, non c’è nessuna certezza sulla liberazione entro dicembre di quest’anno delle frequenze a 800 Mhz occupate dalle tv. In secondo luogo, le forti interferenze fra le onde radio della telefonia mobile a 800 Mhz, le più pregiate, e il segnale del digitale terrestre televisivo rischiano di oscurare una tv su quattro nei grandi centri urbani. C’è infine il vecchio nodo tutto italiano dei limiti di emissione elettromagnetica fissati a 6 v/m, i più restrittivi dell’Ue dove la media è di 40-60 v/m. Limiti che rischiano di impedire la condivisione dei siti per gli operatori e fanno lievitare i costi dei network del 40%, moltiplicando la giungla di antenne mettendo a rischio gli investimenti di Tim, Vodafone, Wind e 3 Italia, che hanno sborsato 4 miliardi in sede di asta per le frequenze a settembre del 2011. Senza contare che altri 4 miliardi circa sono stati messi in preventivo per costruire e gestire i nuovi network.

L’effettiva liberazione delle frequenze 800 Mhz per dicembre 2012, occupate dalle tv e già assegnate agli operatori, come stabilito dal bando di gara Lte, non è affatto una certezza. Le frequenze a 800 Mhz sono le più pregiate per le telco. Senza di esse l’Lte non si fa, ma i broadcaster considerano irrisorio l’indennizzo per sloggiare, un “contentino” tra l’altro ridotto dal governo dagli iniziali 240 agli attuali 175 milioni. Senza la disponibilità reale di questa porzione di spettro, la migliore per la trasmissione video in mobilità, il roll out dell’Lte è una chimera. Questa prima spina nel fianco dell’Lte, riguarda Tim, Vodafone e Wind ma non 3 Italia che non dispone di blocchi in questa altezza di banda.

Il secondo nodo da sciogliere è quello delle interferenze delle onde di telefonia mobile del 4G con i sistemi di ricezione del segnale del digitale terrestre televisivo. Il traffico dell’Lte sarà molto più intenso e più potente rispetto al passato e le onde radio rischiano di mandare in tilt la ricezione del segnale televisivo, spegnendo un televisore su quattro nei grossi centri come Roma e Milano. Il ministero dello Sviluppo Economico ha aperto un tavolo tecnico al quale partecipano gli operatori (Tim, Vodafone e Wind), i broadcaster e la Fub (Fondazione Ugo Bordoni) e sta studiando il problema. È in atto una sperimentazione sul campo fra operatori e broadcaster a Tor San Giovanni, nei dintorni di Roma, ma per ora sugli esiti tutto tace. Non si sa come il nodo verrà sciolto in Italia e chi dovrà pagare per montare sulle antenne tv i filtri necessari per evitare le interferenze. C’è da dire che per questo motivo nel Regno Unito l’asta Lte è stata rimandata un anno fa e che l’Ofcom, l’Agcom inglese, ha messo in piedi una società ad hoc, finanziata con 225 milioni di euro dagli operatori, che si sono fatti carico del ripristino del segnale tv nelle abitazioni che saranno colpite dalle interferenze del 4G, che potrebbero riguardare fino a 2 milioni di abitazioni in Uk. Anche in Francia, dove la sperimentazione dell’Lte nella cittadina di Laval ha messo in evidenza il problema delle interferenze, saranno gli operatori a farsene carico.

C’è infine il nodo tutto italiano dei limiti di emissione elettromagnetica di 6 v/m, i più bassi dell’Ue dove la media è di 40-60 v/m. Limiti fissati dal Dpcm 8 luglio 2003. Il limite italiano di fatto impedisce agli operatori di fare il co-siting dei ripetitori, perché già oggi la maggior parte dei siti di telefonia mobile che ospitano apparati 2G e 3G sono saturi. Senza una modifica delle modalità di misurazione delle emissioni gli operatori saranno costretti a costruire nuovi siti per il roll out dell’Lte, con una moltiplicazione vertiginosa delle antenne e dei costi.

Al ministero dello Sviluppo economico è stato aperto un tavolo, al quale partecipa il ministero della Salute e quello dell’Ambiente. L’obiettivo affidato all’Ispra, l’istituto superiore per la ricerca ambientale, è trovare scenari alternativi con cui mitigare la ristrettezza della normativa italiana, senza innalzare i limiti di legge. Allo studio la possibilità di modificare le modalità di misurazione delle emissioni, che con la normativa vigente si effettua nell’arco dei sei minuti di maggior traffico dati della giornata, spalmandola invece sulle 24 ore. Un’altra proposta di modifica riguarda la possibilità di effettuare le misurazioni dei campi elettromagnetici all’interno dei palazzi e non all’aperto. L’obiettivo del Mise è disporre di scenari alternativi per modificare la normativa prima dell’emanazione del decreto Digitalia, che potrebbe slittare a fine agosto concedendo più tempo alle ricerche dell’Ispra.

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