Singoli rimedi, l’ultima parola spetta alle authority nazionali

Il commissario Agcom Antonio Preto interviene sul Corriere delle Comunicazioni: dualismo necessario tra Commissione Ue e Autorità nazionali per la costruzione di un mercato europeo delle comunicazioni elettroniche

Pubblicato il 24 Gen 2014

1. Negli ultimi mesi vi è stato un dibattito acceso in materia di unbundling. Una decisione dell’Agcom relativa all’offerta di riferimento all’ingrosso di Telecom per il 2013, notificata alla Commissione europea, è stata seguita da una richiesta di chiarimenti. Quest’ultima, non soddisfatta, ha avviato la cd. fase II, per un esame ulteriore del provvedimento (sospendendone l’adozione da parte del regolatore nazionale). Il Berec (Body of European Regulators for Electronic Communications) è stato chiamato in causa, ed ha sostanzialmente dato ragione all’Agcom. La Commissione, a dicembre, ha presentato una raccomandazione in cui prendeva atto del parere del Berec, ma chiedeva una rivalutazione, relativa al costo medio del capitale (Weighted average cost of capital, Wacc), che influenzava il prezzo finale.

L’Agcom ha preso nella dovuta considerazione le indicazioni della Commissione, e le ha valutate. Ha ritenuto, però, che il Wacc fosse stato calcolato in modo corretto già nella prima decisione. In buona sostanza, ha confermato la propria posizione e ha definito il prezzo per l’unbundling del 2013 discostandosi dalla raccomandazione della Commissione, motivando sul punto.

Alcuni hanno lamentato la mancata rispondenza alle regole del mercato e delle dinamiche istituzionali. Altri hanno invece apprezzato il coraggio o, comunque, la coerenza dell’Agcom. Chi ha ragione? Come leggere la vicenda? Il caso è interessante in quanto ci consente di fare brevemente il punto sul modo in cui si regola il mercato, quando sono in discussione interessi nazionali a fianco di quelli dell’Unione europea. E qualche elemento di chiarezza è più che mai opportuno, per contribuire al dibattito e sciogliere le riserve interpretative sui ruoli dei soggetti coinvolti. A dimostrazione, lo si anticipa, della correttezza dell’operato dell’Autorità.

2. Le norme europee mirano alla creazione di un mercato unico; per rispettare le prerogative degli Stati, non possono spingersi fino al punto di comprimere le specifiche esigenze legate alle realtà nazionali. Da un lato, l’Unione armonizza il settore, occupandosi della “costruzione” del mercato interno e individuando i mercati rilevanti; dall’altro, lascia l’individuazione di misure regolamentari alle autorità competenti (le Autorità nazionali di regolazione, Anr).

In caso di mercati non concorrenziali, come noto, le Anr possono applicare specifici rimedi, ossia obblighi imposti agli operatori (come avvenuto con la terminazione mobile, ad esempio). La caratteristica peculiare del settore delle comunicazioni elettroniche, infatti, è la presenza di misure ex ante, che si distinguono da quelle ex post, proprie del diritto della concorrenza. Tali misure servono a stimolare le dinamiche di mercato, laddove queste siano ancora carenti: per tale motivo, sono definite pro-concorrenziali; quelle antitrust, invece, servono a ripristinare una dinamica concorrenziale che si assume già esistente.

La necessaria discrezionalità lasciata alla singola Anr (in grado di osservare “da vicino” il mercato nazionale) potrebbe generare (è accaduto) una applicazione diversificata delle norme europee. Se è vero che occorre rispettare la specificità dei singoli contesti nazionali, è altrettanto vero che, spesso, le direttive (e le norme nazionali che le recepiscono) sono state applicate in maniera differenziata da parte delle Anr.

Nella individuazione e nella applicazione delle misure ex ante si possono generare diversità di vedute dei regolatori nazionali. Ognuno di essi, infatti, interpreta la realtà di riferimento e sceglie quali metodi applicare, in omaggio all’autonomia e all’indipendenza riconosciuta sia a livello nazionale che europeo (art. 3, direttiva n. 2002/21/Ce, come modificata dalla direttiva n. 2009/136/Ce). Ciò genera una “tensione” nel sistema, che le norme e la prassi cercano di risolvere.

Da un lato, si considera in modo esplicito il problema della frammentazione. Dall’altro, però, viene valorizzato l’apporto decisionale delle singole autorità, alle quali è stato lasciato il compito di applicare i singoli rimedi. Infatti, ai sensi del considerando n. 18 della direttiva n. 2009/140/Ce, “conciliare la libertà discrezionale delle autorità nazionali di regolamentazione con l’elaborazione di pratiche normative coerenti e l’applicazione coerente del quadro normativo per contribuire efficacemente allo sviluppo e al completamento del mercato interno”.

Come si risolve, in concreto la tensione indicata? Con una equa distribuzione delle competenze tra autorità europee e nazionali e la predisposizione di momenti di dialogo costanti e trasparenti.

Il legislatore europeo ha cercato rispondere a tale problematica individuando una migliore definizione dei rapporti tra istituzioni europee e nazionali, attraverso un dialogo aperto e la presenza una “camera di compensazione” che svolga da cuscinetto tra le istanze provenienti “dal basso” (gli Stati) e quelle provenienti “dall’alto” (l’Unione), vale a dire tra le opposte esigenze di differenziazione (dei singoli mercati nazionali) e di uniformità (del mercato europeo). In altri termini, occorre contemperare l’esigenza uniformatrice dell’Unione con le istanze “centrifughe” degli Stati nazionali.

3. Si possono distinguere due piani in ordine ai meccanismi introdotti: quello organizzativo e quello procedurale.

In riferimento all’organizzazione, la riforma del quadro normativo ha introdotto il Berec, un nuovo importante centro di coordinamento, che riunisce i regolatori nazionali e che rafforza la precedente esperienza dell’European Group of Regulators, Erg (a sua volta, deriva dall’Independent Group of Regulators, Irg). L’Erg ha instaurato per la prima volta, all’interno dell’architettura istituzionale di settore, un “concerto regolamentare”. Il Berec, ora, ne costituisce l’evoluzione, e rappresenta un buon tentativo di miglioramento, che sopperisce l’assenza di una vera e propria autorità di regolazione europea (che è stata proposta ma non approvata: i tempi non sono maturi).

Il Berec serve al fine di coordinare le Anr, preservandone allo stesso tempo le prerogative. Fornisce assistenza per le analisi di mercato e le posizioni dominanti al loro interno; rende pareri e offre indicazioni generali sulla funzione regolatoria; valuta le proposte delle Anr, indirizzandole verso la creazione effettiva di un mercato unico e omogeneo dal punto di vista delle regole applicate. Si noti che l’organismo opera a lato (non all’interno) della Commissione europea; dunque, svolge una funzione aggiuntiva (e non sostitutiva) rispetto a quest’ultima, costituendo un ponte di collegamento tra Unione e amministrazioni nazionali.

Quanto alle procedure, la loro scansione è essenziale per lo svolgimento di un dialogo proficuo tra le autorità interessate e le istituzioni europee. Vi sono tre ipotesi possibili, disciplinate al fine di addivenire a soluzioni quanto più possibile “concordate”, senza togliere (eccessivamente) peso ai decisori nazionali.

Innanzi tutto, è previsto che qualora una Anr decida di applicare uno specifico rimedio che possa influenzare gli scambi tra gli Stati membri, deve comunicare la proposta alle altre autorità nazionali, alla Commissione europea e al Berec. Si tratta di uno strumento di trasparenza, che consente sia un dialogo verticale (con gli organismi europei), sia orizzontale (con le autorità degli altri Stati membri); tali soggetti possono presentare osservazioni entro il termine di un mese, dopo di che l’Anr può comunque di procedere (art. 7, comma 3, direttiva quadro).

La seconda ipotesi si determina nei casi più “gravi” (come l’identificazione di un mercato rilevante diverso da quelli individuati dalla Commissione, o l’individuazione di una posizione dominante, anche congiunta, all’interno del mercato: art. 7, comma 4, direttiva quadro). In tal caso la Commissione europea può richiedere all’Anr di sospendere l’adozione del provvedimento per un periodo di due mesi. In questo periodo, la Commissione può anche inviare una raccomandazione all’autorità procedente, chiedendo di modificare o addirittura ritirare il progetto di misura; a tal fine deve, però, tenere in massima considerazione la posizione del Berec (il quale deve rilasciare un parere in merito alla questione).

Nella terza ipotesi (art. 7-bis della direttiva quadro), la Commissione può pervenire alla sospensione nell’adozione della procedura per ulteriori tre mesi, qualora si tratti dell’imposizione o della modifica di un obbligo specifico in capo ad un operatore. In tale periodo la Commissione, l’Anr interessata e il Berec devono “cooperare strettamente” per addivenire a una soluzione congiunta. Il Berec può rafforzare o meno la posizione della Commissione (se non la condivide, in estrema sintesi, la procedura può allungarsi di un mese, per consentire alla Commissione di “tornare” o di “insistere” sulla propria posizione).

Gli organismi interessati e le procedure individuate, dunque, tentano di convogliare l’esercizio della funzione regolatoria in un quadro omogeneo, senza comprimere i poteri “decisori” attribuiti alle amministrazioni nazionali.

L’obiettivo del procedimento composto (così definito perché coinvolge amministrazioni nazionali ed europee) tracciato dalla direttiva è quello di valorizzare lo scambio di informazioni, la cooperazione e il raggiungimento degli obiettivi della direttiva (concorrenzialità del settore, fornitura efficiente di reti e servizi, tutela dell’utenza). Ciò avviene rispettando i ruoli delle istituzioni interessate, nell’equilibrio complessivo disegnato dagli art. 7 e 7-bis prima citati.

In relazione all’applicazione dei rimedi, rispettare i ruoli significa riconoscere che il momento conclusivo della procedura è rimesso in ogni caso alla singola Anr: questa può anche disattendere la raccomandazione della Commissione, fornendo una motivazione adeguata in merito alle ragioni che la sostengono.

I “momenti” di confronto tra Commissione, Berec e Anr previsti dalla direttiva costituiscono una fase interna, preliminare alla adozione di un obbligo regolamentare specifico (come la separazione funzionale, la trasparenza, la contabilità regolatoria, ecc.), che rileva all’interno del quadro normativo delle comunicazioni elettroniche. Il procedimento descritto integra un passaggio differente – occorre sottolinearlo, per non ingenerare rischi di “confusione” – rispetto a una procedura di infrazione. Quest’ultima attiene alla generale funzione di controllo del rispetto del diritto dell’Unione e viene avviata in presenza di una violazione seria e concreta del diritto sovranazionale. La prima, invece, cerca di conseguire, in via preventiva, una soluzione “concordata” e coerente con l’assetto complessivo degli interessi in gioco.

4. Le soluzioni individuate e brevemente riassunte svelano un punto fondamentale, spesso dimenticato. Oltre alle regole tecniche, proprie del mercato, occorre comprendere che parte essenziale della partita si gioca sul piano amministrativo, sul modo in cui le regole di settore sono applicate, e sui poteri che vengono esercitati dalle Anr e dalla Commissione. Molto dipende, in altri termini, dalla comunicazione che si instaura tra i poteri amministrativi nazionali e quelli sovranazionali, al fine di prevenire “le discrepanze nelle attività delle varie Anr”.

Per la costruzione di un mercato europeo delle comunicazioni elettroniche, le norme indicano come sia essenziale un’azione coordinata, volta al pieno dispiegamento degli effetti delle direttive, evitandone la frammentazione applicativa. Nella partita tra centro e periferia, comunque, il ruolo delle Anr è ancora forte. Come visto, infatti, anche dopo i rilievi della Commissione o del Berec, l’ultima parola spetta comunque al regolatore nazionale.

Quali sono gli insegnamenti da trarre? Sono due. Il primo consiste nella rimodulazione dell’esercizio dei poteri nazionali, che vengono “diretti” in un “concerto” di ampia portata, fianco a fianco con i poteri pubblici europei. Il secondo, direttamente connesso, attiene alla permanenza di una distinzione essenziale: come visto, infatti, l’ultima parola spetta ai poteri pubblici sovranazionali (la Commissione) solo in caso di individuazione dei mercati rilevanti; per quanto riguarda l’applicazione dei singoli rimedi, invece, l’ultima parola è lasciata ai poteri pubblici nazionali (le Anr). Questo è un approdo che occorre sempre considerare, al fine di comprendere e rispettare i ruoli dei soggetti coinvolti – e non cadere in errore in relazione al concreto esercizio del potere decisorio. In un caso, la Commissione; nell’altro, le autorità di regolazione.

Occorre una applicazione ragionata dei rimedi regolatori ex ante, in vista del raggiungimento di un sistema concorrenziale duraturo: al fine di creare un mercato consolidato e funzionante delle comunicazioni elettroniche, privo di distorsioni, è importante osservare lealtà verso le istituzioni europee e, allo stesso tempo, difendere le decisioni nazionali (della singola Anr) mediante una motivazione approfondita e rigorosa circa le ragioni che le sostengono.

È ciò che l’Agcom sta cercando di fare, in relazione a tutte le materie più controverse attualmente in discussione. Si sta cercando di percorrere un cammino condiviso, che porti al miglioramento del mercato nazionale e contribuisca, parallelamente, alla formazione del mercato interno del settore, ancora altamente strategico – lo si ricordi – per l’Unione e per le condizioni generali dell’economia.

La vicenda dell’unbundling, da cui si è partiti, testimonia proprio questo aspetto: vi sono state diversità di vedute, ma la collaborazione è stata leale e sono state ascoltate tutte le voci: quella dell’Agcom, quella della Commissione, quella del Berec (che ha sposato le tesi della prima). Sono state valutate le opzioni indicate dalla Commissione, ma alla fine si è deciso di mantenere l’impostazione originariamente seguita (che riguardava il prezzo di remunerazione del capitale, il Wacc). Ciò è avvenuto coerentemente e nel pieno rispetto della direttiva quadro, e quindi in omaggio al potere decisorio che, in questo caso, spetta solo all’autorità nazionale.

È così che le norme europee hanno inteso costruire il dialogo tra i diversi poteri e così è stato interpretato, in maniera sana, dall’Autorità nazionale. Così dovrebbe essere interpretato anche dalla Commissione europea.

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