L'INTERVISTA

Stefano Parisi: “Single market, non perdiamo questo treno”

Dal Consiglio Ue era legittimo aspettarsi di più. L’unica nota concreta è arrivata dall’annuncio del governo italiano di investire sulle reti il 10% dei fondi strutturali. Un buon punto di partenza per rimboccarsi le maniche. Ecco in esclusiva un articolo firmato dal presidente di Confindustria digitale

Pubblicato il 11 Nov 2013

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Dal Consiglio europeo del 24 ottobre scorso era legittimo aspettarsi molto di più di quanto è emerso. Convocati sulla base di un’agenda che per la prima volta poneva lo sviluppo dell’economia digitale come tema prioritario, i 28 capi di governo dell’Ue avevano una grande occasione per prendere decisioni concrete e avviare una politica di sviluppo per l’Europa. Purtroppo questo non è avvenuto e il documento finale brilla per la genericità degli impegni, per l’abbondanza dei condizionali, per l’assenza di scadenze temporali.

Il Consiglio europeo ha affrontato l’arretratezza digitale europea con un approccio soprattutto normativo, puntando a provvedimenti legislativi per la realizzazione di un mercato unico digitale, con cui definire standard e regolamenti su cloud computing, big data, identificazione e fatturazione elettronica, cyber security, ecc. Obiettivi sicuramente importanti, ma che nell’Ue sono destinati a scontrarsi con tempi decisionali e attuativi troppo lunghi rispetto alla velocità dell’innovazione tecnologica e alla penetrazione dell’economia digitale nel resto del mondo. Paradossalmente, prima ancora di mettere in campo misure per stimolare il suo sviluppo, i leader europei si sono posti il problema di tassare l’economia digitale, istituendo un “High Level Expert Group” che dovrà presentare la propria relazione alla Commissione entro la prima metà del 2014. Nel frattempo, tuttavia, continuerà a esistere la forte sperequazione sull’Iva fra libri digitali (22%) e libri stampati (4%), mentre continueranno ad avere spazio i vari tentativi di sostenere la crisi di attività tradizionali imponendo tasse al settore Ict come le levies sugli apparecchi digitali o le ipotesi di prelievi di scopo sugli operatori del web.

In realtà nel testo del Consiglio manca la consapevolezza di quanto l’Europa, nella sua interezza, sia indietro non solo rispetto ai target che si è data, ma anche nei confronti di altre zone del mondo. Di quanto sia necessario far crescere il mercato europeo dell’Ict per aumentare la produttività e competitività dell’area euro, ampliare la gamma delle opportunità di lavoro e di business, far sì che l’Europa torni a essere uno dei centri dell’innovazione. Dal 2010, anno in cui l’Ue ha lanciato Agenda digitale, il mercato europeo dell’Ict è calato del 2% a fronte del 6% di crescita di quello nordamericano, del 18% dell’area latinoamericana e del 14% dell’area asiatica del 14%. Non solo, nel resto del mondo si fa più ricerca e sviluppo in Ict e si investe molto di più nella nascita di imprese innovative. Negli Stati Uniti il 36% dei brevetti registrati è nel settore dell’Ict, il 46% in Cina e solo il 27% in Europa. Gli investimenti in venture capital negli Stati Uniti sono 7 volte e mezzo superiori a quelli europei e l’Ict rappresenta il 43% del totale contro il 37% europeo.

Per questo era necessario che dalla riunione dei 28 leader dell’Ue emergesse un segnale politico forte e chiaro, un impegno vincolante, che indicasse all’opinione pubblica europea che il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda digitale rappresenta la scelta strategica per accelerare l’uscita dalla crisi e riprendere a crescere.

Occorreva un segnale di assoluta urgenza da far arrivare ai parlamenti e alle pubbliche amministrazioni degli Stati membri per rompere le tante e sorde resistenze che si frappongono ai processi di cambiamento. Avrebbe dovuto essere un segnale di apertura di un nuovo scenario economico, atteso dalle imprese europee e in particolare dagli operatori Ict, chiamati ad affrontare nei prossimi anni un consistente volume di investimenti per sviluppare le reti e infrastrutture digitali, contribuire a modernizzare i sistemi paese facendo evolvere i servizi in campo pubblico e privato.

Questo segnale, purtroppo, non è arrivato, nonostante il buon lavoro fatto dal Governo italiano, il cui documento è stato molto apprezzato in sede di Consiglio Ue, tanto che il Presidente Van Rompuy ha chiesto al nostro Presidente del Consiglio Enrico Letta di intervenire in qualità di lead speaker sul tema del digitale. In conclusione si può dire l’unica nota concreta è arrivata proprio dal nostro Governo, con l’annuncio fatto dal Presidente Letta di voler investire nello sviluppo delle infrastrutture digitali il 10% dei fondi strutturali che spettano all’Italia tra il 2014 ed il 2020. È un buon punto di partenza per rimboccarsi le maniche e accelerare sulla digitalizzazione del Paese.

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