Testa (Cittalia): “Reti, asset politico”

Il centro ricerche dell’Anci spinge sul riutilizzo dei network esistenti e sul catasto digitale

Pubblicato il 29 Nov 2010

Sviluppo delle reti ultra broadband frenato dalla babele normativa
e tributaria. Sul catasto delle reti i Comuni sono in alto mare.
Motivo? Manca una fotografia digitale, un database condiviso del
labirinto di reti idriche, fognarie, di Tlc ecc. che passano sotto
le nostre città. In soldoni, si va ancora avanti per planimetrie e
richieste di scavo a compartimenti stagni, autorizzate magari dagli
uffici competenti, ma non inserite in un cervellone elettronico
condiviso da tutti. In più, a frenare la realizzazione della banda
larga super veloce (Ngn), oltre alla mancanza di fondi, c’è il
labirinto delle regole locali, che disciplinano la normativa sugli
scavi.

La fotografia della situazione italiana arriva dal report “Le
Reti di nuova generazione nei Comuni. Infrastrutture e regole di
Internet veloce”, realizzato da Cittalia, Fondazione di ricerca
dell’Anci (l’associazione nazionale dei Comuni italiani) in
tandem con l’Anfov (associazione nazionale fornitori di video
informazione). Milano, Roma, Reggio Calabria, Verona, Novara, Bari,
Catania, Firenze, Napoli, Reggio Emilia. Questo il panel analizzato
da Cittalia sul fronte dello sviluppo dell’Ngn. “In materia di
scavi e reti del sottosuolo gli apparati normativi appaiono datati,
vecchi di dieci anni, basati su una visione tariffaria inadeguata
(come la Tosap, tassa di occupazione di suolo pubblico, ndr) a
promuovere lo sviluppo delle reti – dice Paolo Testa, responsabile
area innovazione a Cittalia -. Un primo auspicio è che i Comuni si
rendano conto che la realizzazione delle reti ultra broadband è un
asset politico”.

Ma per ora siamo in alto mare. “Ancora non si è imposto un
modello unico e condiviso di sviluppo di reti Ngn – si legge nel
report – sia in termini di architettura e dimensionamento fisico
che di investimento”. In generale, a parte qualche eccezione come
Milano, Torino e Reggio Emilia, manca un data base condiviso del
patrimonio di reti presenti nel sottosuolo del territorio comunale.
“Impossibile stilare piani locali di cablaggio senza conoscere la
situazione delle reti esistenti – dice Testa -, è necessario uno
sforzo di mappatura dei cavidotti dei diversi player, dalle multi
utilities agli operatori di Tlc che dispongono di un patrimonio di
fibra spenta non condiviso. Per sviluppare le reti Ngn bisogna
partire dalle infrastrutture esistenti e, per ottimizzare i costi,
puntare sulla condivisione e il riutilizzo delle reti: dalle fogne
alle condutture idriche, passando per le reti di teleriscaldamento
presenti in decine di medi Comuni soprattutto nel nord
Italia”.

Il dato di partenza è chiaro: i 10-12 miliardi di euro necessari
per fare la rete Ngn in Italia non ci sono. Quindi, bisogna
ingegnarsi, partire dalle reti che ci sono, per non perdere il
treno dello sviluppo. “Bisogna cominciare a cablare subito –
aggiunge Testa – il rischio in molti Comuni è che ci siano
infrastrutture conosciute, adatte per la posa di cavi Tlc, ma che i
dati non siano stati registrati e che quindi non siano
disponibili”. Come uscire dall’impasse? “Il censimento degli
impianti è il punto di maggior debolezza rilevata nei Comuni – si
legge nel report di Cittalia-Anfov -. Se in alcuni casi, come
Torino, Roma e Milano, anche per la presenza di un coordinamento
regionale forte sul tema, vi è una posizione avanzata e
innovativa, nella maggior parte dei casi il censimento è assente o
parziale, o non strutturato (come avviene a Catania)”. Urge un
rilancio sul fronte del broadband, tanto più che l’Italia perde
terreno nell’arena europea della fibra ottica, essendo passata
nel 2009 dal 11° al 14° posto nell’ultima classifica stilata
dall’Ftth Council Europe, l’organismo che analizza la
diffusione della fibra ottica nelle case e negli edifici del
Vecchio Continente.

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