Tudini: “Adesso Infratel gira a mille”

Il presidente di Infratel: “Siamo attrezzati per il piano Romani-Brunetta”. E a chi accusa la società di fare gli interessi di Telecom dice “tutti possono usufruire del nostro lavoro”

Pubblicato il 23 Nov 2009

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Tutta l’attuazione del piano governativo contro il digital divide
è riposta adesso nelle mani di Infratel, dove ci tengono a far
sapere che le attività fervono a pieno regime. “A leggere alcuni
giornali sembra che non abbiamo fatto niente e invece è tutto il
contrario” dice Domenico Tudini, presidente dal 2007 di
Infratel
, la società pubblica incaricata di intervenire
nelle aree di digitla divide (dal 2007).
In questi giorni siete chiamati a grandi lavori. Che state
facendo?

Ci siamo appena trasferiti in una nuova sede, con locali anche in
viale America, in stretto contatto con il ministero dello Sviluppo
Economico, con il quale quindi d’ora in avanti ci coordineremo
più intensamente. Per quanto riguarda la banda larga, abbiamo
completato il primo intervento attuativo, posanando 2mila
chilometri di fibra ottica in otto regioni del Sud e spendendo 127
milioni di euro. Ad oggi abbiamo raggiunto circa un milione di
persone che erano in digital divide.
E i nuovi piani?
Abbiamo completato la pianificazione del secondo piano attuativo e
aperto i primi cantieri (a Roma, Forlì, Bologna e altri comuni).
Riguarderà sei regioni del Centro-Nord, Lombardia, Liguria,
Umbria, Marche, Lazio, Emilia Romagna per un ulteriore milione di
abitanti. Abbiamo messo a gara altri 120 milioni di euro e il tutto
prenderà il 2010 e parte del 2011. Il risultato sarà 523 aree di
centrale raggiunte con la fibra, in aggiunta alle 313 coperte
finora, e mille chilometri di rete.
Come farete? In poco più di un anno coprireste quasi il
doppio delle centrali che avete raggiunto dal 2004 al
2009.

Bisogna distinguere. Per prima cosa, io sono arrivato nel 2007 e
non posso parlare di quanto fatto dal 2004 al 2006…
Che sono poi gli anni per i quali Infratel ha ricevuto la
bocciatura della Corte dei Conti. Secondo un suo rapporto, al 31
dicembre 2006 avevate fatto solo un terzo dei lavori
previsti…

Ebbene, posso solo dire che forse ci sono stati ritardi nei primi
anni dovuti allo start up della società, la pianificazione, la
ricerca del personale…
Veniamo quindi al 2007-2009.
I lavori portati avanti da Infratel hanno avuto una rapida
accelerazione. Nel 2007-2008 soltanto abbiamo fatto 200
centrali.
E come contate di accelerare ulteriormente nel
2010-2011?

È cambiato lo scenario. Primo, le regioni del Centro-Nord stanno
collaborando con noi, a differenza di quelle del primo intervento.
Secondo, i decreti legislativi di luglio hanno snellito molto le
autorizzazioni da chiedere agli enti per fare i lavori. Terzo,
adotteremo tecnologie di scavo innovative, come le mini trincee,
che velocizzeranno i lavori. Quarto, sfrutteremo anche
infrastrutture già presenti, di enti pubblici e di operatori.
Abbiamo fatto una gara ad hoc, chiedendo agli operatori di farci
usare le loro infrastrutture.
Quanti fondi avete, in tutto?
Dal ministero, abbiamo avuto 280 milioni. Dalle Regioni, altri 40.
E ne abbiamo spesi o messi a gara 240. Aspettiamo inoltre 163
milioni di fondi europei per le aree rurali, già affidati al piano
contro il digital divide.
Se il Cipe sbloccherà gli 800 milioni, andranno a
voi?

In teoria sì, poiché siamo gli attuatori unici di quel piano. Ma
la destinazione sarà ufficializzata solo quando i fondi saranno
sbloccati.
Come utilizzerete i fondi ancora non
impegnati?

Nel terzo intervento attuativo, che stiamo già pianificando. Su
regioni individuate da accordi programmatici tra il Ministero e
Regioni. Aspettiamo di saperne i nomi, entro la fine
dell’anno.
E con quale modello di business operate?
Siamo proprietari della rete che realizziamo. Affittiamo poi la
fibra o i soli cavidotti agli operatori. Negli ultimi due anni
abbiamo fatto un utile, anche se piccolo.
Si dice facciate gli interessi di TI che usa la rete fatta
da voi per vendere servizi agli utenti e
all’ingrosso.

In realtà noi non portiamo la fibra alla centrale Telecom, ma a
un’area comunale. Cioè un pozzetto individuato dal Comune. Poi
da lì qualsiasi operatore, a proprie spese, può congiungere la
nostra infrastruttura alla propria rete. Il punto è che in quelle
zone, a fallimento di mercato, spesso c’è solo la rete Telecom e
le sue centrali.

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