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Rai, Mario Orfeo alla sfida della “capacità trasmissiva”

Tra le mani del nuovo dg una macchina lanciata ad alta velocità su una pista scivolosa. Fra i dossier aperti l’incognita della copertura del 100% del territorio (richiesta dall’art.3.1 della Convenzione) e il passaggio dal paradigma “frequenze”. Quante Reti o Mux deve avere la Rai?

Pubblicato il 10 Lug 2017

Patrizio Rossano

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La scorsa settimana si è svolta a Roma la presentazione dei palinsesti Rai autunno inverno nel nuovo palazzo di vetro e acciaio che ospita la nuvola di Fuksas. Raramente la rappresentazione metaforica è stata più efficace. Per un verso, sopra Viale Mazzini si è soffermata una nuvola gravida di intemperie, per altro verso il suo dimensionamento, la portata della sua carica innovativa potrebbe apparire labile ed evanescente, appunto, come una nuvola passeggera.

Il nuovo direttore generale, Mario Orfeo, si è insediato da appena un mese e i compiti che lo aspettano sono tutt’altro che passeggeri. Si è trovato tra le mani una macchina lanciata ad alta velocità su una pista scivolosa, piena di curve e con un traguardo difficile da intravvedere. Inoltre, è costretto a gareggiare contemporaneamente su diversi campionati.

Vediamo il primo. Il dossier riguarda il combinato disposto tra nuova Convenzione, approvata lo scorso 28 aprile, e il Contratto di servizio previsto dall’art. 6 della stessa Convenzione della durata di 5 anni. Come abbiamo scritto, la prima riunione interna a Viale Mazzini dove hanno preso parte le Direzioni direttamente coinvolte, si è svolta lunedì della scorsa settimana con l’obiettivo di stendere una prima traccia di lavoro. Le macro aree oggetto di attenzione sono: offerta editoriale, offerta informativa, aggiornamento tecnologico, risorse.

La natura del contratto di servizio prevede di rendere operativi e vincolanti le prestazioni, gli indirizzi, gli impegni indicati nella Convenzione e si prefigura come una specie di piano industriale. Come tutte le imprese, la logica di produzione impone la chiarezza, la certezza, del rapporto tra obiettivi, strumenti e tempi di attuazione. Questo difficile equilibrio tra finalità, possibilità e necessità nasce distorto già dal momento in cui la Convenzione alza l’asticella dei risultati richiesti e, contestualmente, riduce sia l’arco di tempo necessario a raggiungerli, sia gli investimenti. A Viale Mazzini, in proposito, da tempo, c’è malumore e non sarà per nulla facile trovare una quadra.

Per capire meglio queste difficoltà, delle macro aree sulle quali si lavora, riportiamo alcune osservazioni di una nostra fonte privilegiata, che riguardano l’aggiornamento tecnologico. Il nostro interlocutore si sofferma su due grandi temi: la copertura del 100% del territorio, richiesta dall’art.3.1 della Convenzione, e il concetto di “capacità trasmissiva” inserito nell’art. 7. Si tratta di due pilastri che dovrebbero sorreggere il nuovo contratto di servizio che, però, in determinate condizioni, appaiono alquanto deboli e con forti aree di confusione, anche semantica, ad esempio quando si parla “diffusione” piuttosto che di “trasmissione”. Per ulteriore chiarezza: la Concessione inserisce il concetto di capacità trasmissiva che rappresenta l’elemento di valore più elevato di un sistema digitale, mentre la frequenza è una delle componenti del sistema.

Il primo tema, si riferisce allo stato attuale della ricevibilità dei Mux (secondo i dati i nostri possesso il primo si aggira intorno al 99%, il secondo e terzo al 92% e il quarto al 90%). Per raggiungere l’obiettivo della copertura totale del territorio, nelle condizioni di particolare conformità morfologica del Paese, occorrono investimenti rilevanti che non si capisce da che parte possano provenire. La popolazione interessata a questo problema è stimata in circa 5 milioni (1.4M di famiglie) che difficilmente, seppure incentivata, può essere indotta ad usare il satellite, salvo, anche indirettamente, agevolare la concorrenza. Il riferimento nel citato articolo alla ricevibilità attraverso il cavo appare più come un refuso storico (forse si intendeva dire la fibra?) mentre il live streaming è, per definizione, fruibile in IP. A proposito poi di “servizi interattivi di pubblica utilità” previsti all’art. 3.n, laddove si richiede che la Rai si impegni a garantirli senza però specificare, ad esempio, su quale piattaforma possono o debbono essere trasmessi.

Il nostro interlocutore si sofferma, poi, in particolare, su quello ritenuto il Pilastro del nuovo Contratto: “Il Ministero assegna alla Rai la capacità trasmissiva necessaria”. Il passaggio dalle “frequenze” previste nel precedente contratto alla nuova definizione non è cosa da poco. Si tratta della pietra miliare dello sviluppo tecnologico del Servizio pubblico: oggi, l’Azienda dispone di circa 80 mbit/s ed è considerata assolutamente insufficiente al fine di garantire servizi e prodotti innovativi (vedi UHD) in grado di fronteggiare per un verso le accelerazioni imposte dai concorrenti e, peraltro, le innovazioni che verranno introdotte con le prossime disposizioni comunitarie sui 700 Mhz. Torniamo al tempo: troppo poco quello a disposizione per progettare un futuro di tale complessità con poche risorse.

Un’ultima osservazione: il testo della nuova Concessione non parla mai di quante Reti o quanti Multiplex deve avere la Rai ma di quali contenuti deve produrre e trasmettere. Da questo punto di vista si pone il problema di valutare le dimensioni della capacità necessaria a trasmettere tutti i contenuti richiesti, organizzati per Reti. Come abbiamo più volte scritto: si tratta di inserire questa riflessione all’interno di un progetto di strategia industriale di lungo periodo. In altre parole, si dovrà avere l’accortezza di poter immaginare la tipologia “tecnologica” dei contenuti che verranno trasmessi nel prossimo futuro. Questo un vero, enorme, terreno di lavoro non solo per Mario Orfeo. Conclude il nostro interlocutore: la vera sfida per questo e per tutti i prossimi DG della Rai è portare la capacità trasmissiva nei prossimi anni a 1Gbit/s.

Per rimanere in ambito tecnologico, rimane aperta la questione della quotata Rai Way, chiamata ad assicurare l’uso ottimale delle risorse frequenziali. Tralasciamo per un momento la questione della sua governance (il presidente è un esterno alla Rai). È noto che una minaccia incombente riguarda le prospettive di utilizzo delle cosiddette “torri di alta quota” quando, al fine di adottare “…ogni perfezionamento consentito dal progresso tecnologico” si potranno immaginare scenari low tower-high power piuttosto che fiber to the tower. Come si potranno affrontare queste sfide? L’art. 4 della Convenzione sostiene che “la Rai potrà utilizzare … anche esistenti mezzi trasmissivi dei gestori di servizi di telecomunicazioni …” e, punto rilevante, potrà “… essere prevista la realizzazione di impianti comuni con altri operatori televisivi e di telecomunicazioni”. Cosa vuole significare? È facile vedere il punto di vista manifestato più volte dal sottosegretario Giacomelli: si al polo delle torri, purchè garantita l’esigenza pubblica. Almeno, da questo punto di vista, si spera presto un passo avanti.

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