Fascicolo sanitario elettronico: e se centralizzare fosse un rischio?

L’affidamento al Mef della gestione del progetto cambia lo scenario di collaborazione tramite i servizi di interoperabilità. Dubbi sul possibile disallineamento tra i dati dei sistemi regionali di Fse e quello centrale

Pubblicato il 13 Dic 2016

Roberto Guarasci, ordinario di Documentazione Università della Calabria

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Con il Decreto Legge 179/2012 e la sofferta emanazione del DPCM 29 settembre 2015, l’avvio operativo del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) sembrava aver trovato una sua connotazione ed una sua modalità operativa certo non priva di difficoltà in ragione delle criticità intrinseche al dominio, dello scotto da pagare ad un paese che al 2015 faceva rilevare un uso del web per poco più della metà della popolazione adulta e, non ultimo, della scelta del modello federato, che demandava espressamente alle regioni l’istituzione della soluzione regionale di Fascicolo come opportunità, non obbligo, offerta agli assistiti. Evidenti gli indubbi vantaggi per gli utenti con una accentuazione forte per quelli in mobilità, in emergenza o per quelli affetti da patologie per le quali è necessario rivolgersi a centri di ricovero e cura ubicati fuori dal contesto di domicilio e residenza.

I problemi ostativi erano e sono in minima parte tecnologici, tanto che tutte le regioni hanno realizzato l’infrastruttura che però, in qualche caso, è desolatamente vuota perché mancano le regole e le procedure per l’alimentazione da parte degli attori del Servizio Sanitario Nazionale, primi fra tutti i Medici di Medicina Generale. Il panorama è però meno tragico di quanto si pensi. Sei regioni e una provincia autonoma hanno una soluzione regionale di Fascicolo attiva e funzionante (Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Lombardia, Lazio e Provincia Autonoma di Trento) e dieci regioni (Piemonte, Liguria, Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata, Sardegna) stanno completando le fasi di test propedeutiche all’avvio.

Mancano all’appello solo Calabria, Campania, Sicilia e la Provincia Autonoma di Bolzano. Dal 2009 il Dipartimento Innovazione Tecnologica prima e poi Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), sempre in partnership con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), stanno gestendo questa complessa realizzazione sia mediante la definizione delle regole tecniche di interoperabilità sia mediante la realizzazione dell’ambiente di test che permette alle regioni di allineare i propri servizi prima dell’avvio operativo, sia, in ultimo, con l’imminente rilascio in esercizio del servizio centrale di gestione delle codifiche che fornisce supporto all’utilizzo di tutti i sistemi di codifica di tipo clinico obbligatori per i documenti digitali contenuti nel Fascicolo, regolamentandone aggiornamenti, download, mappature e versioning. In un paese capace di una visione d’insieme l’intervento del legislatore sarebbe dovuto andare verso la rimozione dei fattori ostativi e quindi l’incentivazione all’uso del digitale come fattore abilitante e la definizione di regole obbligatorie e stringenti per l’alimentazione come fattore strategico. Per le regioni in ritardo l’intervento sarebbe stato in massima parte facilitato dalla presenza dei commissari, trattandosi di realtà interessate dai piani di rientro.

A regole definite e realizzazioni avviate andava certamente trovato un soggetto pubblico gestore dell’architettura a regime, non rientrando tali attività né nei compiti di AgID né tantomeno del CNR. Ciò avrebbe massimizzato gli investimenti pubblici realizzati nel rispetto delle autonomie regionali, specie di quelle pienamente operative. Così non è stato. La Legge di Bilancio appena approvata ha emendato il DL 179/2012 di fatto affidando al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) la realizzazione del Fascicolo Sanitario Elettronico che si basa sul sistema Tessera Sanitaria del quale, peraltro, già mutuava l’anagrafica.

Ad un modello federato se ne sostituisce uno fortemente centralizzato nel quale le regioni sono prosaicamente distinte in regioni gestite, quelle che aderiscono all’infrastruttura nazionale, e regioni autonome, quelle che utilizzano la propria infrastruttura di FSE che però è, di fatto, un duplicato allineato dell’unico Fascicolo costituito presso l’infrastruttura nazionale, in ragione del fatto che sarà creato un Fascicolo per ogni codice fiscale contenuto nel sistema Tessera Sanitaria. Le Regioni sembrano perdere così la titolarità del Fascicolo, che non è più da loro istituito, ed i cittadini la facoltà di attivarlo visto che questo viene legato alla presenza del nominativo nell’anagrafe del sistema Tessera Sanitaria. Marginale diventa il ruolo di AgID e di quanto già realizzato che viene solo richiamato nell’adozione delle interfacce e delle specifiche di interoperabilità. Con buona pace della razionalizzazione della spesa pubblica.

Il modello cambia completamente lo scenario di collaborazione mediante i servizi di interoperabilità ponendo l’infrastruttura del MEF al centro di qualsiasi comunicazione tra le regioni. La scelta solleva indubbi interrogativi circa il possibile disallineamento dei dati tra i sistemi regionali di FSE e l’infrastruttura centrale, la memorizzazione di dati sanitari dei cittadini a livello centrale, e, non ultimo, espone al rischio di problemi di prestazioni dovute all’utilizzo di un unico sistema centrale che filtra tutte le comunicazioni di interoperabilità tra le regioni. Per di più, un modello fortemente centralizzato, piuttosto che supportare le regioni in difficoltà nella realizzazione dei servizi del FSE, complica notevolmente il lavoro delle regioni virtuose che hanno già implementato i propri servizi e si trovano nella situazione di riprogettarli per adeguarli al nuovo modello.

Ancora una volta viene ribadito un paradosso tipicamente italiano che ha più volte dimostrato la sua fallibilità. La riduzione del digitale nella Pubblica Amministrazione al solo modello tecnologico, quasi che i contenuti, le regole e le procedure fossero ipostatiche e quindi trasferibili indipendentemente dal contesto in genere, non produce di solito risultati apprezzabili ma solo un aumento della spesa pubblica.

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