PUNTI DI VISTA

Diritto all’oblio, l’avvocato Bianchi: “Regole tornino sotto la ‘sovranità’ degli Stati”

No alle soluzioni precostituite e ai moduli prestampati, sostiene la professionista. “Così si va in contrasto con le linee guida delle authority comunitarie”

Pubblicato il 09 Feb 2015

Deborah Bianchi, avvocato specializzato in Diritto della Rete

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Il diritto all’oblio applicato al motore di ricerca dalla Corte di Giustizia UE 13.05.14, anche detta CGUE Costeja dal nome dell’originario ricorrente, ha sollevato enormi problemi interpretativi.

Google ha predisposto un modello on line per inoltrare la richiesta di deindicizzazione e ha costituito un Consiglio di esperti per redigere le linee guida interne della compagnia. In data 6 febbraio 2015 è stato pubblicato il rapporto “The Advisory Council to Google on the Right to be Forgotten” indicante le Best Practices ovvero la “forgetten policy” di Big G.

Allo stesso tempo il Working Party Art. 29, ovvero il gruppo dei Garanti privacy UE, ha redatto le proprie Linee Guida pubblicate il 26 novembre 2014 finalizzate a fornire un’interpretazione univoca della famosa CGUE Costeja e criteri di applicazione comuni per tutte le Authorities europee.

Le Linee Guida Google 6.02.15 offrono soluzioni standardizzate orbitanti tra interesse pubblico ad accedere alle informazioni e diritto all’oblio. In particolare molti casi vedono la prevalenza del No-Index a seconda che l’interessato sia o meno persona pubblica. O ancora a seconda della natura della notizia da deindicizzare: le notizie a forte impatto privacy vengono distinte dalle notizie a forte impatto pubblico.

Notizie a forte impatto privacy.

I contenuti sulla vita intima o sessuale o comunque i dati sensibili hanno la prevalenza sul diritto di accesso del pubblico. Così anche gli identificativi personali come il numero di telefono, della carta di credito o l’indirizzo fisico. Intoccabili le informazioni sui minori.

Notizie a forte impatto pubblico.

I contenuti relativi alle opinioni politiche o all’impegno pubblico o governativo non possono essere deindicizzate. Neppure le notizie sulle credenze religiose o filosofiche possono essere “obliate”. Nell’esclusione dal No-Index finiscono anche i dati in merito alla salute pubblica e alla difesa del consumatore; i dati sulle attività criminose, sugli eventi e le figure storiche nonché sulle ricerche scientifiche e sulle espressioni artistiche.

Un altro criterio distintivo attiene al tipo di fonte da cui proviene la notizia: i dati delle fonti giornalistiche ossequiose della legge o dei blogger accreditati difficilmente possono essere de-listate.

Le Linee Guida dei Garanti UE 26.11.14 rifuggono invece dalla logica delle soluzioni precostituite in protocolli statici e focalizzano quale principio fondamentale la disamina caso per caso sulla scorta del bilanciamento comparativo degli interessi in gioco. Tutto ciò secondo due criteri fondamentali: il criterio della potenziale gravità dell’impatto privacy negativo e il criterio della proporzionalità, della pertinenza, della non eccedenza. Quindi non una soluzione-tipo per tanti casi ma una soluzione accurata per ciascun caso.

Le Linee Guida dei Garanti UE sulla CGUE Costeja costituiscono un documento importantissimo destinato a divenire pietra miliare di tutti gli operatori della Data Protection e a svilupparsi con l’evoluzione tecnologica grazie all’imperante principio di flessibilità che governa tutto il testo.

Il pregio del provvedimento si coglie nell’attività sistemica diretta a elaborare lo stato dell’arte della disciplina sul “nuovo diritto all’oblio” di matrice giurisprudenziale.

I dubbi interpretativi finora derivavano infatti dall’assenza di un centro di gravità a cui agganciare i materiali prodotti dalle varie Corti europee e dalle Autorities privacy interne.

Ora il centro di gravità esiste: è la CGUE Costeja unita alle Linee Guida.

Il robusto spessore di questo combinato disciplinare UE forgiato dalla massima espressione della giurisprudenza (CGUE Costeja) e dalla massima espressione dei Garanti Privacy (Linee Guida) costituisce il diritto vivente all’autodeterminazione informativa o nuovo diritto all’oblio. D’ora in poi tutte le decisioni sulle richieste di tutela dovranno richiamarsi a questo sostrato disciplinare.

Il cuore della disciplina di questo “nuovo diritto all’oblio” di matrice giurisprudenziale si staglia nella logica del balance secondo cui, posti sui piatti della bilancia gli interessi in gioco e compiuta una comparazione tra questi, secondo il principio della proporzionalità e della potenziale gravità dell’impatto privacy sull’interessato, occorre far prevalere la posizione giuridica del soggetto che subirebbe dall’applicazione dell’altro diritto contrapposto un sacrificio ingiusto”.

Vengono così sciolti dubbi importanti.

Il “nuovo diritto all’oblio” non è il diritto all’oblio. Il “nuovo diritto all’oblio” è il diritto all’autodeterminazione informativa on line di cui il diritto all’oblio originario è solo una piccola parte. Si tratta della Data Protection applicata alla Rete che richiede ai titolari del trattamento (motore di ricerca e publisher) l’adozione di tutte le misure di sicurezza minime e idonee per evitare l’asimmetria decisionale tra l’interessato e il titolare sul trattamento dei corpi informativi degli utenti Internet. Asimmetria decisionale prodotta dalla prevaricazione del più forte che ormai privo del consenso iniziale continua nella raccolta dati in modo sproporzionato e arbitrario. Il “nuovo diritto all’oblio” quale esercizio del potere di controllo sul proprio patrimonio informativo giunge a riequilibrare questa situazione sbilanciata.

Il “nuovo diritto all’oblio” non cancella la storia. Il “nuovo diritto all’oblio” non significa cancellazione dei contenuti e neppure cancellazione della possibilità di ricerca di quei contenuti. Il diritto all’autodeterminazione informativa si applica esclusivamente per le ricerche “ad personam” ovvero eseguite con parole chiave corrispondenti al nome di persona. Tutte le altre parole chiave con cui la notizia può essere cercata nel web non vengono eliminate e dunque risulta agevole accedere al contenuto tramite una formula diversa della query. Nulla è cancellato. Tutto risulta accessibile anche tramite il motore di ricerca.

Google non è l’arbitro del diritto all’oblio come si pensava finora. Anzi l’applicazione planetaria del de-listing anche ai domini “.com” agevola il riappropriarsi da parte degli Stati UE della sovranità sui rispettivi cittadini digitali. Questo recupero assume efficacia contrapponendo il giudizio dei Garanti Privacy interni e delle Corti nazionali contro il vaglio anarchico dei motori di ricerca.

Google non è l’unico titolare cui chiedere il NO INDEX. L’esercizio del diritto all’oblio è libero e l’interessato sceglie se rivolgersi unicamente al motore di ricerca o al publisher (autore/editore) oppure ad entrambi.

Alla luce della sintetica comparazione dei due diversi documenti sulle Linee Guida in merito al diritto all’oblio, sia consentito rilevare che i diritti della persona non sono dei problemi da risolvere con una Best Practice aziendale ma degli Istituti sacrosanti giudicabili solo dalle Authorities ad hoc o dalle Corti dei vari Stati.

Questo e’ anche un modo per sottrarre le nostre vite all’egemonia dei privati e ricondurre la disciplina delle nostre vite sotto la giurisdizione dello Stato di appartenenza.

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