Ict, la scuola italiana al bivio

Pubblicato il 20 Giu 2011

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Le nuove tecnologie permeano la nostra società e si diffondono a
ritmo crescente, in modo spesso trasversale rispetto al contesto
socio culturale. La scuola del XXI secolo si trova di fronte a un
bivio: accettare la sfida e investire nel cambiamento in modo
massiccio o rimanere ancorata ai modelli tradizionali. I nativi
digitali dovrebbero poter usufruire anche di un’offerta formativa
in grado di sfruttare le potenzialità della tecnologia. Per fare
questo non si può prescindere da una radicale riorganizzazione
della didattica cui sono connessi benefici e costi. Le Ict in
ambito scolastico si declinano in una serie di risorse didattiche
per l’apprendimento: software, hardware utilizzati a scopi
didattici (Lim, e-Books) e ambienti tecnologici per
l’apprendimento (sistemi di rete, piattaforme di e-learning). Ma
nella realtà, spesso, le politiche sono state documenti
programmatici (o manifesti politici) e, per questo, sembra sia
davvero giunto il momento di un cambiamento radicale.

La sottoutilizzazione di strumenti informatici nella didattica
dipende probabilmente più dal fatto che le istituzioni scolastiche
sono più lente a cambiare rispetto alle tecnologie che dal fatto
che le tecnologie non sono un valido supporto alla didattica. Le
nuove tecnologie sembrano infatti rispondere adeguatamente ai nuovi
metodi formativi che pongono lo studente (e non più
l’insegnante) al centro del processo formativo. Il materiale
didattico innovativo ad integrazione delle tradizionali lezioni
frontali, stimola la partecipazione attiva, incoraggia
l’apprendimento autonomo, facilita la memorizzazione e può
rispondere a esigenze specifiche degli studenti con difficoltà di
apprendimento.

Da un punto di vista economico, l’introduzione delle Ict è
potenzialmente vantaggiosa sia in termini di efficienza sia di
equità A fronte di questi benefici, si devono ovviamente
considerare i costi. Costi di acquisizione del capitale fisico e
costi per la formazione del capitale umano. Sul primo fronte si
deve investire per introdurre in modo massiccio le Ict nella
scuola, sul secondo fronte si devono formare le competenze
necessarie affinché docenti e dirigenti scolastici possano
utilizzare effettivamente nel quotidiano queste tecnologie.

Una scuola hi-tech prevede aule con banchi con schermo touch
screen, cattedra digitale, in cui sia possibile lavorare in rete, e
una Lim. Ogni classe dovrebbe utilizzare almeno un software
didattico per ognuna delle 6 aree disciplinari essenziali (lingua
italiana, matematica, storia, geografia, scienze e lingua
straniera) e tutti i docenti e gli studenti dovrebbero avere un
neetbook. Gli insegnati devono possedere un nuovo profilo
professionale: chi si appresta ad entrare nel mondo del lavoro
devono avere le competenze di base e gli insegnati già di ruolo
devono acquisirle in tempi relativamente brevi. Non si deve
tralasciare la formazione continua degli insegnati già in servizio
e l’inserimento nell’organico scolastico di nuove figure
professionali che siano di supporto nell’uso di strumenti e
programmi.

Limitandoci a queste semplici voci di costo una scuola altamente
informatizzata comporterebbe una spesa di circa 1.300 euro a
studente, con poca variabilità considerando i diversi ordini di
scuola. Una spesa piuttosto ingente per un Paese in cui la spesa
annua media per studente è di circa 6.000 euro e i vincoli di
bilancio si fanno sentire. Nel valutare l’effettiva convenienza
dell’investimento non si può prescindere da altre tre
considerazioni. Le tecnologie possono potenziare alcune competenze,
sviluppare di nuove o intervenire su particolari gruppi di studenti
(con difficoltà di apprendimento, con poca conoscenza della lingua
italiana).

Le nuove tecnologie possono consentire un maggior accesso
all’istruzione: con un’offerta formativa più flessibile anche
grazie alla rete quello che fino a pochi anni fa era considerato
locale ora può diventare globale e consentire la fruizione di
alcuni servizi formativi nelle stesse località di residenza degli
studenti. Si devono però prevedere politiche scolastiche tese a
evitare che alcuni ceti sociali siano vittime di un
“analfabetismo informatico” per non accentuare i divari già
esistenti in termini di scolarizzazione e competenze. Gli aspetti
positivi e negativi non si bilanciano perfettamente ma lasciano
presagire che quella odierna sia una sfida importante da cogliere
per migliorare l’offerta formativa e le competenze dei nostri
studenti.

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