PA digitale, è il momento del “fare”

Parola d’ordine, fare sistema: la PA italiana ha sofferto di politiche troppo frammentate, mentre occorre una guida centrale forte che porti alla fase attuativa. Parlano player, istituzioni e politica

Pubblicato il 24 Giu 2014

Patrizia Licata

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Alla terza tavola rotonda del convegno Telco per l’Italia! organizzato da Il Corriere delle Comunicazioni la trasformazione digitale della PA è balzata al centro dell’attenzione. L’importante è “fare”, passare dai progetti alla fase attuativa: su questo tutti i relatori sono d’accordo. Per Domenico Casalino, amministratore delegato di Consip, l’ora di spingere sugli “switch-off”, con iniziative come la fatturazione elettronica, che obbligano a un progresso verso la digitalizzazione. Casalino ha spiegato come lo smart public procurement sia uno strumento essenziale della politica industriale di Consip. “Abbiamo attuato iniziative che portano l’innovazione dall’industria alla PA favorendo la digitalizzazione; le recenti gare Consip sono state all’insegna del risparmio ma anche mirate a portare rapidamente innovazione digitale nella PA. Stiamo facendo in modo che la connessione tra tutte le sedi della PA sia veloce e che la domanda pubblica stimoli la domanda privata; non sono solo le telco a poter fare qualcosa per l’Italia, anche il sistema-Italia può dare qualcosa alle telco”, ha concluso Casalino.

Le reti che supportano la digitalizzazione della PA devono però essere efficienti e sicure, perché spesso trasportano dati sensibili: lo ha messo in luce Mario De Manna, Account director Strategic industries, Alcatel-Lucent, ricordando che progetti come la sanità e la scuola digitale hanno bisogno non solo di reti dalle alte performance ma capaci di garantire la sicurezza e la privacy del dato. “Il nuovo piano industriale di Alcatel-Lucent va proprio in questa direzione: lavorare su reti ad alta prestazione e affidabilità, ma anche sicurezza”. De Manna ha ricordato come Alu si ponga da anni come partner industriale per la PA italiana, come per i grandi clienti aziendal, e che la PA è da considerarsi una grande industria del sistema-Paese, che crea valore aggiunto, che muove Pil.

Da sempre sostiene la necessità di stilare un piano industriale per la PA la vicepresidente del Senato Linda Lanzillotta, che ha sottolineato come la mancanza di crescita nel digitale in Italia si leghi anche ai pochi investimenti in Ict nella PA: “La PA è elemento di crescita, solo una PA digitale può rendere il governo del Paese efficiente e trasparente”, ha detto la Lanzillotta. “Dobbiamo anche sfruttare le nostre opportunità in Europa, al di là del semestre di presidenza Ue, ma cavalcando la nuova fase di politiche europee più orientate alla crescita”. Per la vicepresidente del Senato l’importante è puntare su una serie di iniziative chiave per dare slancio alla digitalizzazione della PA (fatturazione elettronica, integrazione delle anagrafi, Pin unico per l’accesso ai servizi pubblici, ecc.), superando il “federalismo digitale” che ha prodotto sprechi e inefficienze con una pletora di servizi non integrati: “La PA deve mirare a interoperabilità e standardizzazione, occorre una politica di sistema per permettere al Paese di fare il salto”.

Di “regia forte” ha parlato anche Agostino Ragosa, direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale, ricordando i tanti progetti avviati dall’Agid, nonostante le difficoltà politiche: “Si sono succeduti in poco tempo tre governi: troppi per varare una politica industriale sul digitale”, ha detto Ragosa, “occorre invece dare continuità alle azioni messe in campo e portarle avanti, puntare sull’attuazione, non lasciare i progetti sulla carta”. Eppure l’Agid in questi anni si è mossa, avviando per esempio la razionalizzazione degli 11.000 datacenter italiani e il piano di alfabetizzazione digitale per far fronte alla carenza di competenze digitali nel nostro Paese. Ma il primo ostacolo alla piena digitalizzazione della PA è per Ragosa la carenza infrastrutturale: le reti sono il prerequisito per avere poi i servizi. “E poi bisogna presidiare l’Europa”, ha aggiunto Ragosa: “Le leggi sul digitale vengono quasi tutte decise a Bruxelles”, ha sottolineato.

Pedro Garcia Martin, presidente e amministratore delegato di Indra Italia, ha portato la testimonianza del caso spagnolo e di come le Ict hanno migliorato l’efficienza del servizio pubblico e l’offerta al cittadino: “La Spagna ha superato la sfida della digitalizzazione puntando prima sulle infrastrutture e poi sugli applicativi e creando una serie di casi di successo, come smart cities e esperienze di sanità digitale. Oggi in Spagna i cittadini godono di una carta digitale elettronica da cui accedono a tutti i servizi della PA, che sono più di 3000”. “Sappiamo che l’Italia è indietro nel digitale, per motivi economici, politici e culturali”, ha concluso Martin, “ma l’Italia si sta muovendo e ha ottime chance di successo. I servizi di e-gov sono meno usati che nel resto d’Europa (adozione del 21% contro il 41% della media Ue), ma in crescita”.

All’Italia non manca la visione, manca l’impegno sul piano politico, secondo Carlo Tagliaferri, presidente di Selta: “Le strategie sono troppo frammentate, non c’è una direzione unica, occorre concretizzare i progetti in modo armonico. Compito della legge è dare un orientamento forte e il forte commitment politico deve poi tradursi in pratica: la fase esecutiva invece è bloccata”. Importante anche il tema delle competenze digitali: per Tagliaferri la scuola sarà uno strumento fondamentale per formare le risorse che aiuteranno la PA a compiere il salto digitale. “Non basta avere le tecnologie, occorrono le competenze”, ha detto il presidente Selta. “La digitalizzazione è un’esigenza di tutto il Paese, non solo della PA, ma anche delle imprese, che soffrono ugualmente della scarsa attuazione dei progetti del governo sul digitale”, ha concluso Tagliaferri.

L’esigenza di una leadership nell’Agenda Digitale è stata ribadita da Elio Catania, presidente di Confindustria digitale, secondo cui semplicemente “L’Italia non cresce perché non investe in Ict, la crescita o è digitale o non è; l’Italia ha un gap di 25 miliardi di euro di investimenti in digitale con il resto d’Europa, che si è aperto quando sono entrate in scena le tecnologie di Internet“. Perciò l’Italia ha collezionato singole eccellenze in alcune imprese e amministrazioni pubbliche ma senza riuscire a fare sistema: “Ora è il momento dell’integrazione, bisogna individuare i progetti-cardine e renderli esecutivi, magari tramite un chief technology officer che faccia da leader”, ha detto Catania. Anche le aziende private soffrono degli stessi problemi della PA, soprattutto a livello di piccole imprese: questo ritardo nel digitale dimostra che il modello italiano va ripensato con la guida di un sistema-Paese che, nella collaborazione tra PA, aziende e centri di ricerca, dia una direzione forte e certa verso il cambiamento.

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