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Equo compenso, Catania: “Franceschini congeli il decreto”

Non si placano le polemiche. Il presidente di Confindustria Digitale: “Provvedimento ingiusto, serve revisione immediata della legge”. Lamperti (Anitec): “In Italia le tariffe più alte d’Europa”. Bednarich (DigitalEurope): “Norma in contrasto con la direttiva Ue”. Sul piede di guerra anche il M5S

Pubblicato il 21 Lug 2014

A.S.

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“Una revisione immediata” del decreto sull’equo compenso del Mibact, da operare “con spirito collaborativo e partecipativo. Così come è stato delineato si tratta di un provvedimento ingiusto nella sua struttura e dimensione, molto penalizzante, anacronistico e antistorico”. E’ la posizione di Elio Catania rispetto al decreto sull’equo compenso, sui cui il presidente di Confindustria Digitale è tornato oggi durante un congegno dedicato al tema a Montecitorio. “In attesa che il provvedimento venga modificato – ha sottolineato Catania – lasciamo al Ministero la scelta della via migliore per congelarne l’attuazione”. “Secondo le nostre stime il gettito prodotto sarà pari a 160-170 milioni di euro – ha speigato il presidente di Confindustria Digitale, contro i 60 milioni del 2013. Un aumento ingiustificato e che non riflette l’andamento delle tecnologie e delle abitudini dei consumatori. Il 70% degli utilizzatori di smartphone e cellulari infatti si appoggia a tecnologie diverse dalla copia privata, come lo streaming”. I proventi della tassa sull’equo compenso, secondo Catania, sarebbero quadruplicati dall’entrata in vigore del decreto, e si prfilerebbero come “un sussidio all’ industria della creatività che però pesa su un’ altra industria”. “Se si vuole sostenere la cultura – ha concluso – si intraprendano altre politiche”. “Con questo decreto – ha concluso – l’ Italia finirà per produrre il 23% del gettito dell’ intero equo compenso europeo”, che andrà a pesare su un Paese “che ha già un grosso deficit nell’uso delle tecnologie. Con questo decreto andiamo controtendenza se diciamo che il consumatore deve pagare quattro volte in più come equo compenso”.

Sulla stessa linea Claudio Lamperti, vicepresidente di Anitec: “Il decreto del ministero dei Beni e delle Attività Culturali per la ridefinizione delle tariffe sull’equo compenso per copia privata prevede un gettito superiore di 2,5 volte quello del 2013, e ciò rappresenta un aumento ingiustificato, che non tiene conto delle mutate abitudini dei consumatori, né dell’evoluzione delle tecnologie. Le tariffe su smartphone e tablet diventano così le più alte d’Europa e viene introdotto il compenso sulle Tv con capacità di registrazione, caso unico in tutta l’Unione Europea”.

“L’indagine commissionata dall’allora ministro Bray – aggiunge Lamperti durante lo stesso convegno – conferma che il fenomeno della creazione di una copia privata è quasi azzerato: il 70% del campione intervistato ha dichiarato di scegliere la fruizione in streaming dei contenuti. Solo il 13,5% della popolazione intervistata ricorre sistematicamente alla copia privata”. “La natura del compenso per copia privata dovrebbe rappresentare un contributo marginale per il bilancio di una collecting society, ma nel caso della Siae si arriva al 23% – conclude Lamperti – non è più un compenso ma un sussidio a questo punto e per questo il decreto attuale va a nostro avviso revocato. Un’anomalia non meno rilevante, poi, è la previsione del compenso per copia privata sulle smart tv, dove l’eventuale registrazione può essere vista solo sul dispositivo stesso. Si può realmente parlare di una copia privata anche in questo caso?”.

Contro le norme sull’equo compenso varate dal Mibac si è espresso anche Irena Bednarich, presidente del policy group sull’economia digitale di Digitaleurope: “Sul decreto per l’equo compenso su copia privata il governo si contraddice da solo, ha fatto uno studio dove dice che lo streaming è sempre più usato e quindi i compensi dovrebbero andare giù, mentre invece vengono triplicati. Il governo ignora l’evidenza raccolta dal governo stesso”. Bednarich tra l’altro precisa che il decreto andrebbe contro la direttiva europea, che stabilisce che “l’equo compenso deve essere pagato solo nel momento in cui c’è un danno sofferto da chi detiene i diritti. Se la copia privata rimpiazza delle vendite alternative o è in aggiunta di un originale, scatta la necessità di compensi. Il problema è che abbiamo esteso l’equo compenso ad ogni tipo di utilizzo dei contenuti violando la norma comunitaria. Ad esempio – aggiunge – nello streaming non si fanno delle copie private ma malgrado questo ti chiedono di pagare un compenso perchè è diventata una fonte di introiti non giustificata”. “Noi stiamo passando da una proprietà del contenuto, come il cd fisico, ad altri tipi di fruizione, come lo streaming – ha concluso Bednarich, Quest’ultimo viene pagato con le licenze e quindi non c’è bisogno di fare ricorso alla copia privata perchè non c’è una copia materiale”.

A introdurre il convegno la deputata 5 Stelle Mirella Liuzzi: “Come Movimento 5 Stelle abbiamo già presentato una mozione sulla Siae – afferma – che, fatto incomprensibile, non è mai stata votata, nella quale esprimevamo la necessità di realizzare una profonda riforma dell’Società. Comunque, da settembre lavoreremo con i nostri colleghi in commissione Cultura a una proposta di legge sulla riforma della Siae. Una misura che va necessariamente attuata in parallelo con la revisione dell’equo compenso”.

Quello sull’equo compenso è un tema rispetto al quale si potrebbero registrare punti di vista differenti anche all’interno del Partito democratico, che potrebbero rendere difficili i prossimi passi del provvedimento. A dimostrarlo basti ricordare l’interrogazione alla Commissione Ue che era stata presentata a Bruxelles, a febbraio 2010, da quattro eurodeputati del Pd (Gianluca Susta, Gianni Pittella, David Sassoli e Luigi Berlinguer) contro il decreto Bondi, che può essere considerato come l’antenato del provvedimento varato dall’attuale ministro Dario Fraceschini: “Il decreto – scrivevano gli europarlamentari – è in contrasto con la normativa comunitaria, che prevede che il compenso debba essere applicato solo agli apparati che abbiano significative finalità di riproduzione di copie a fini privati e non aoi cellulari, ai pc senza masterizzatori, ai decoder che invece vengono assoggettati a tassazione”.

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