L'EDITORIALE

E-commerce: la lezione del Black Friday per l’Italia

Crescono le vendite online. Ma le nostre aziende sono ancora troppo poco sulla rete. Ed è grave. Come per Industria 4.0, ci vuole una forte iniziativa in direzione dell’evoluzione digitale dei canali commerciali.

Pubblicato il 06 Dic 2017

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Nel week end del Ringraziamento, quello che ormai anche in Italia si chiama Black Friday (potenza del marketing e dell’emulazione trainata dalla Rete), gli acquisti su Internet degli americani hanno superato la soglia dei 20 miliardi di dollari. Per essere proiettati per l’intera stagione natalizia verso il tetto dei 100 miliardi di dollari, anche questo un record nella storia degli acquisti Usa.

Questi numeri marcano una crescita dello shopping online del 13,8% (contro il più 3,8% del commercio tradizionale) nel Paese al mondo dove più si compra su Internet. A riprova che l’e-commerce ha ancora molte autostrade aperte davanti a sé. Il fatto che un big come Amazon abbia comprato la catena alimentare (di lusso) Whole Foods non è una marcia indietro ma la scelta di dotarsi di una piattaforma “brick and mortar” per trainare le proprie vendite online nel mercato del cibo.

L’integrazione fra reti fisiche e negozi virtuali è del resto il trend del momento nel settore del commercio. La prossima “capitolazione” di Ikea che si appresta a vendere i proprio prodotti online non solo nel proprio sito ma anche attraverso grandi piattaforme globali di e-commerce ne rappresenta in qualche maniera un fatto simbolico.

L’Italia non sfugge al fenomeno. I dati di recente pubblicati dall’Osservatorio curato da Netcomm e Polimi danno per il 2016 una crescita delle vendite online italiane del 17% per un valore complessivo di 23,6 miliardi di euro. La crescita percentuale è significativa, il valore assoluto molto meno: appena un quarto di quanto si vende su Internet in Germania.

E pur se per la prima volta quest’anno i beni fisici supereranno il valore delle vendite dei servizi (segno che gli italiani cominciano a fidarsi degli acquisti in rete e che la logistica delle consegne sta migliorando) e pur se nel Black Friday italiano si sono spesi 800 milioni di euro, si tratta di cifre che non possono fare indulgere all’ottimismo. Tant’è vero che l’e-commerce italiano persa per appena il 3,8% su quello europeo nonostante il 15% della popolazione. Certo, a guardare il bicchiere mezzo pieno si potrebbe dire che le possibilità di crescita sono molto. Ma poi quel bicchiere bisogna riempirlo. Ed è il punto dolente.

La verità è che nonostante i miglioramenti, l’Italia nell’e-commerce è in forte ritardo. Ed è un altro capitolo del nostro gap digitale che andrebbe guardato con molta attenzione. Uno dei rischi è che nonostante la presenza di piattaforme eccellenti e di successo (Yoox per dirne una), il grosso delle vendite online venga intermediato dai grandi negozi digitali multinazionali, con i consumatori italiani ridotti a fare i portatori d’acqua a profitti altrui. E lasciando le aziende venditrici senza molte alternative reali di sbocco sui mercati elettronici. Già ora viene stimato che Amazon intermedi il 20% degli acquisti online italiani.

Ma c’è un rischio ancora più forte per un Paese come l’Italia dove è rilevante la presenza di piccole e medie aziende ancora scarsamente digitalizzate: che le nostre imprese perdano progressivamente la loro capacità di stare sul mercato proprio perché troppo ancorate ai canali di distribuzione tradizionali.

L’Italia è un Paese fortemente indirizzato verso l’export e la stessa ripresa del Pil risente molto dal rafforzamento sui mercati internazionali delle vendite da parte delle nostre imprese. Ma la competizione internazionale diventerà sempre più rilevante non soltanto su qualità, prezzi, affidabilità ma anche sulla capacità di essere sulle catene distributive giuste. Per ora non ci siamo: in rete gli italiani comprano dall’estero beni per 5,5 miliardi di euro ma le nostre aziende ne vendono fuori Italia per appena 3,5 miliardi. Certo, i ricavi sono in crescita, ma a volte il segno più può non far vedere quello meno.

Si parla molto (e giustamente) di Industria 4.0.  Ci vuole una analoga forte iniziativa anche in direzione dell’evoluzione digitale dei canali commerciali. Che sono diventati essi stessi un fattore significativo di produttività.

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