Continua a salire la domanda globale di larghezza di banda: anche se a ritmi via via più lenti la fame di broadband non si placa. Il grande traino è l’utilizzo dei fornitori big tech di servizi cloud e contenuti: non c’è nessuna parte del mondo in cui la crescita della domanda di questi provider non stia superando quella dei fornitori di backbone Internet. Incide anche lo sviluppo dei mercati emergenti, con l’Africa in testa: la richiesta di banda larga qui è più alta della media. È quanto emerge dal nuovo studio “Transport networks research service” di TeleGeography.
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Banda larga, la crescita resta elevata. L’Africa è leader
La domanda di larghezza di banda è aumentata del 45% fino al 2020, per poi rallentare a +29% nel 2024 rispetto al 2023. Ma, nonostante il rallentamento del tasso di crescita annuale, i dati di TeleGeography del 2024 rappresentano un tasso di crescita annuale composto costante del 32% (Cagr). Inoltre, la domanda di banda larga è triplicata tra il 2020 e il 2024, superando i 6,4 Pbps. Si tratta di numeri ancora molto rilevanti.
A livello regionale, la maggior parte del mondo vede tassi di crescita simili, pari a un Cagr di circa il 32-35% dal 2020 al 2024.
L’Africa supera altre regioni con una crescita della domanda di larghezza di banda superiore al 40%. Sul versante opposto, gli Stati Uniti sono un mercato maturo e crescono al di sotto della media, all’incirca +29%.
Il ruolo in evoluzione dei fornitori di contenuti
I fornitori di contenuti e cloud, in particolare una manciata di aziende big tech – Google, Meta, Microsoft e Amazon – rappresentano in misura schiacciante la maggior parte dell’utilizzo della larghezza di banda internazionale del mondo.
La situazione risulta ribaltata rispetto a dieci anni fa. Fino al 2016, evidenzia lo studio di TeleGeography, i fornitori di backbone Internet rappresentavano la maggior parte della domanda. Ora non è più così: nel 2024, le reti di contenuti e cloud rappresentavano quasi tre quarti di tutta la domanda di larghezza di banda.
Banda larga, rotte dominate delle big tech
La quota dei fornitori di contenuti sulla domanda totale varia a seconda del percorso delle reti internet, ma sta diventando dominante quasi ovunque. Sulle massicce rotte transatlantiche, trans-Pacifiche e intra-asiatiche, le big tech rappresentano almeno l’80% della domanda di larghezza di banda.
Alcune rotte più piccole, come Europa-Asia orientale e Europa-Africa subsahariana, sono ancora guidate dalla domanda di backbone Internet, ma la dinamica sta cambiando anche in queste regioni. La crescita della domanda proveniente dai fornitori di contenuti sta superando altre fonti su tutti i raggruppamenti di percorsi monitorati da TeleGeography.
Per esempio, entro il prossimo anno, i fornitori di contenuti rappresenteranno la maggioranza assoluta della domanda sulle rotte statunitensi-latinoamericane.
Inoltre, la crescita della domanda di fornitori di contenuti è più rapida nelle regioni in cui gli operatori tlc sono ancora dominanti, come l’Africa, l’America Latina e il Medio Oriente. Ma non c’è nessuna parte del mondo in cui la crescita della domanda di contenuti non stia superando quella dei fornitori di backbone Internet.
Telco contro le big tech: la partita dei cavi sottomarini
In uno scenario sempre più dominato dai grandi provider digitali, lo scorso mese un consorzio formato da Chunghwa Telecom, SK Broadband, SoftBank e Verizon ha affidato ad Alcatel Submarine Networks la realizzazione di una rete di cavi transpacifica da 12.500 km per rispondere alla domanda di banda larga proveniente proprio dalle applicazioni cloud, dall’elaborazione dei dati e dalle reti mobili di nuova generazione. L’infrastruttura è destinata a migliorare la connettività digitale tra Asia e Nord America ed è parte integrante della strategia di potenziamento del consorzio, che sta progettando un sistema di cavi sottomarini denominato E2A che collegherà Giappone, Taiwan, Corea del Sud e Stati Uniti.
Il progetto rappresenta una delle poche eccezioni uno scenario sempre più caratterizzato dagli investimenti infrastrutturali delle big tech.
Nel mondo si contano 597 sistemi di cavi e 1.712 approdi attivi o in costruzione, secondo la più recente ricognizione di TeleGeography. Ma il ruolo delle telco in questo ecosistema di connettività continua a restringersi a favore proprio degli over the top americani: Google possiede, parzialmente o totalmente, 34 cavi sottomarini, Meta ne ha 16, Microsoft cinque e Amazon quattro: dal 2017 a oggi il totale dei cavi delle big tech è passato da 20 a 59.
I grandi hub mondiali delle infrastrutture sottomarine sono quello dell’Egitto, che collega Europa, Africa e Medio Oriente, quello di Marsiglia, focalizzato sull’Africa, quello del Giappone, che serve per i collegamenti interni all’Asia, e quello di Singapore. Ci sono anche i grandi collegamenti trans-Atlantico, trans-Pacifico e tra America del Nord e America del Sud.
In queste connessioni per la banda ultralarga la quantità di capacità sottomarina internazionale utilizzata dai quattro hyperscaler a stelle e strisce è aumentata negli ultimi dieci anni dal 10% al 71%, con un tasso di crescita Cagr del 50%.
Gli hyperscaler sono quindi i primi fornitori di cavi sottomarini e, di conseguenza, sono gradualmente passati da utenti delle infrastrutture sottomarine a proprietari dei cavi. Si tratta di un cambiamento che vede gli Ott espandere il controllo sull’intera catena del valore dei servizi Internet, dalla creazione di contenuti all’archiviazione dei dati, all’elaborazione e al trasporto di rete.