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Chip, i produttori americani puntano il dito contro la guerra dei dazi



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Rispondendo al Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che aveva chiesto un commento sull’impatto delle misure dell’amministrazione Trump, Qualcomm, Intel e Micron avvertono che i maggiori costi di importazione potrebbero rallentare gli sforzi per incrementare la produzione nazionale

Pubblicato il 27 mag 2025



chip, microelettronica, semiconduttori, elettronica 3

I produttori di chip statunitensi puntano il dito contro le politiche commerciali di Donald Trump. Si parla ovviamente della guerra dei dazi che, a dirla tutta, non pare aver ancora preso una fisionomia precisa.

Più nello specifico Qualcomm, Intel e Micron hanno evidenziato gli svantaggi che deriverebbero dalle tariffe proposte sulle importazioni di processori avanzati e attrezzature di produzione, avvertendo che i maggiori costi di importazione potrebbero rallentare gli sforzi per incrementare la produzione nazionale.

Il dossier del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti

Bisogna precisare che non si tratta di un’iniziativa di lobby: le tre aziende hanno presentato documenti separati al Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che il 1° aprile aveva avviato un’indagine ai sensi della sezione 232, chiedendo quindi all’industria di commentare l’impatto delle importazioni sulla sicurezza nazionale.

La posizione di Qualcomm

Qualcomm ha sostenuto che l’imposizione di dazi sui chip a breve termine – senza fornire tempo, supporto e opportunità sufficienti per la costruzione e l’avvio di eventuali contromisure – danneggerebbe le aziende statunitensi di progettazione di chip senza creare un vantaggio economico proporzionale per gli Stati Uniti o per i suoi lavoratori.

Nel documento di Qualcom si legge che occorre “continuare a fare affidamento su fabbriche straniere” per gran parte della sua produzione, comprese quelle a Taiwan e in Corea del Sud.

Facendo riferimento all’elevata complessità della catena di fornitura dei semiconduttori, Qualcomm ha dichiarato: “La perdita di leadership tecnologica potrebbe essere ulteriormente aggravata se i paesi stranieri rispondessero all’aumento dei dazi collaborando per eliminare i contenuti statunitensi dai loro prodotti”.

Il punto di vista di Intel

Intel ha avvertito che i dazi su input critici come materie prime e attrezzature specializzate aumenteranno i costi di produzione, rendendo sempre più difficile per i produttori nazionali competere a livello globale.

Inoltre, ha affermato che i paesi stranieri stanno implementando misure protettive che potrebbero escludere i produttori statunitensi dai mercati chiave.

Il produttore di chip, sottolineando i suoi maggiori investimenti in ricerca e sviluppo nel 2024 per sviluppare chip avanzati a livello nazionale, ha osservato che le politiche governative “dovrebbero sostenere, non ostacolare” i suoi investimenti, aggiungendo che l’imposizione di dazi eccessivamente ampi potrebbe ostacolare i progressi.

L’allarme di Micron

Micron ha infine fatto notare che i dazi che aumentano i costi sui fattori di produzione chiave, in particolare sulle apparecchiature per la produzione di semiconduttori, aumenteranno significativamente i costi di costruzione degli impianti di produzione di semiconduttori negli Stati Uniti, rendendo gli impianti nazionali meno competitivi o potenzialmente non commercialmente sostenibili.

Ha raccomandato al governo di prendere in considerazione esenzioni tariffarie temporanee sui fattori di produzione critici per gli impianti di produzione di semiconduttori, inclusi macchinari di produzione, materiali da costruzione, parti di ricambio e materie prime.

I rischi per i piani di investimento di Tsmc

Anche Taiwan Semiconductor Manufacturing (Tsmc) ha condiviso un avvertimento simile, affermando che le nuove restrizioni all’importazione potrebbero creare incertezze per molti progetti di semiconduttori avviati negli Stati Uniti, incluso il suo piano di investimenti da 165 miliardi di dollari in Arizona.

La guerra dei dazi colpisce anche gli smartphone

La valutazione arriva a pochi giorni dalla nuova minaccia di Donald Trump, che rilancia sui dazi alle tech company e annuncia l’intenzione di imporre una tariffa del 25% su tutti gli smartphone venduti negli Stati Uniti ma non prodotti sul suolo americano. La misura, come facilmente intuibile, colpirebbe in particolare Apple e Samsung.

La dichiarazione, rilasciata su Truth, ha avuto un impatto immediato sui mercati, con Apple che ha perso circa 70 miliardi di dollari di capitalizzazione in poche ore registrando un calo del 3% delle azioni. Anche i principali fornitori asiatici di Cupertino hanno subito contraccolpi significativi.

L’effetto più diretto e visibile sul mercato, del resto, sarebbe un significativo aumento dei prezzi per i consumatori. Secondo diverse analisi, un iPhone attualmente venduto a mille dollari potrebbe arrivare a costare tra i 1.150 e i 1.250 dollari. Per i modelli di fascia alta, i rincari potrebbero essere ancora più consistenti.

Lo scopo, come sempre, è quello di spingere i brand a portare la produzione sul territorio americano. Ma Dan Ives, analista di punta di Wedbush Securities, ha stimato che un iPhone interamente assemblato negli Usa potrebbe invece arrivare a costare fino a 3.500 dollari, a causa di maggiori costi di manodopera, logistica e infrastruttura. Questo scenario sarebbe insostenibile per il consumatore medio e danneggerebbe la competitività di Apple.

Anche Samsung potrebbe essere penalizzata, dato che produce la maggior parte dei suoi dispositivi in Vietnam, India e Corea del Sud. Secondo i calcoli preliminari, l’imposizione dei dazi potrebbe tradursi in un aumento di 150-200 dollari per i modelli di fascia alta come la linea Galaxy S.

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