Il Fisco la spunta su Apple e “incassa” 318 milioni

Trovata l’intesa sui mancati introiti Ires per circa 900 milioni contestati all’azienda dall’Agenzia delle Entrate e relativi al periodo 2008-2013. Ma va avanti il processo penale, che vede coinvolti l’Ad italiano Enzo Biagini, il direttore finanziario Mauro Cardaio e il numero uno di Apple Sales International Micheal O’Sullivan

Pubblicato il 30 Dic 2015

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Apple pagherà al Fisco italiano 318 milioni di euro. È questa la cifra contenuta nell’accordo con cui il colosso hi-tech chiude una controversia legale con l’Agenzia delle Entrate, che gli aveva contestato una maxi-evasione da circa 900 milioni di euro.

L’accordo, anticipato stamattina da Repubblica, arriva dopo mesi di trattative tra l’Erario e la società di Cupertino, che nel marzo scorso si è vista recapitare tre avvisi di garanzia dal tribunale di Milano, in particolare dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dal pm Adriano Scudieri. Indirizzati direttamente all’ad di Apple Italia Enzo Biagini, al direttore finanziario Mauro Cardaio e al numero uno della società irlandese Apple Sales International, Micheal O’Sullivan. L’accusa riguarda una “omessa dichiarazione dei redditi” tra il 2008 e il 2013 in particolare rispetto all’imposta sui redditi delle società (Ires), motivo per cui si è mossa direttamente anche l’Agenzia delle Entrate e non solo la procura di Milano.

In sostanza, secondo gli inquirenti la divisione italiana di Apple non è altro che una società di facciata, accreditata come semplice consulente di Apple sales International e a cui vengono riconosciuti solo i ricavi necessari per sostenere i costi di struttura. Mentre gli utili finiscono in Irlanda, dove grazie a un accordo con il governo Apple ha pagato per anni aliquote prossime allo zero. L’intesa economica appena raggiunta tra il Fisco e la compagnia fondata da Steve Jobs naturalmente non avrà tuttavia effetti sul processo penale, che continuerà a seguire il proprio corso.

“L’emorragia finanziaria legata all’evasione e all’elusione fiscale delle multinazionali del web ha raggiunto livelli altissimi e le OTT, seppur risultando ancora casi isolati, hanno iniziato a capire che le tasse si devono pagare e lo si deve fare nei Paesi in cui fanno profitti”. Questo il commento a Radio Radicale di Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera e padre della cosiddetta ‘web tax’ secondo il quale “è tempo di fare un discorso più serio e completo sull’intelaiatura fiscale al tempo dell’economia digitale, affrontando il tema dello spostamento della tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette”.

Nel frattempo c’è chi ha già pensato a come destinare i soldi che il Fisco incasserà da Apple: “Chiediamo al governo che vengano interamente e immediatamente reinvestiti per potenziare la banda larga, in particolare al sud – dichiara il segretario nazionale dell’Italia dei Valori Ignazio Messina – La priorità è reimpiegare questa ingente somma per garantire a cittadini, enti pubblici e imprese migliori infrastrutture digitali, fondamentali per lo sviluppo economico delle aree più in difficoltà”.

Eppure, Apple non è la prima multinazionale a finire nel mirino dei magistrati milanesi per questo fenomeno del doppio binario fiscale. Da tempo l’Agenzia delle Entrate è in trattativa anche con Google, alla quale la procura di Milano contesta una evasione da circa un miliardi di euro. Probabile che anche in questo caso, a prescindere dall’esito delle indagini e dai possibili rinvii a giudizio, la controversia fiscale si chiuda con un accordo.

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