DIRITTI

La guerra sulla privacy, Tim Cook: “Noi non vendiamo clienti”

Apple controcorrente nella difesa dei dati personali. Il Ceo: “Il cloud dev’essere un luogo riservato. Non è il nostro lavoro raccogliere dati”. E anche a richieste dell’autorità giudiziaria “anche volendo non potremmo rispondere”

Pubblicato il 02 Ott 2015

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I servizi nella nuvola di Apple, chiamati complessivamente “iCloud”, sono fra i più diffusi al mondo: ogni smartphone, ogni tablet e Mac hanno accesso a una porzione di nuvola da 5 GB gratuitamente, con in più servizi di sincronizzazione e backup dei calendari, contatti e preferiti del browser Safari. Ma la Apple permette di fare molto di più con la sua nuvola: backup degli apparecchi, archiviazione dei documenti delle app gratuite per la produttività fornite con il sistema, che poi sono la versione della mela di Office di Microsoft: Keynote al posto di PowerPoint, Numbers al posto di Excel, Pages al posto di Word. Gratuite, disponibili su Mac e iPhone/iPad ma anche – pochi lo sanno – accessibili e funzionanti direttamente da browser anche su Pc connettendosi all’indirizzo icloud.com. E poi ci sono i servizi di localizzazione, per ritrovare Mac e iPhone/iPad rubati, oppure per trovarsi con i propri amici, e tutti i servizi di notifica dalla nuvola che permettono di passare le telefonate dall’iPhone al Mac o le chat video.

Insomma, la nuvola di Apple è piuttosto complessa, variegata, e sempre più grande. Tutto questo ancora senza calcolare gli store che offrono dalla nuvola le app, le canzoni, i telefilm, i film, i servizi di mappe con le città di tutto il mondo in 3D, e via dicendo. Solo le app, per esempio, hanno un sistema dinamico di compilazione per cui lo sviluppatore realizza una versione generica del suo software che il negozio di Apple compila al volo nel cloud e scarica nella versione ottimizzata per la tipologia diversa di apparecchio: iPhone 5s piuttosto che il nuovo iPhone 6s.

In tutto questo, Tim Cook rivendica dunque il ruolo della privacy. In una intervista a Robert Siegel della radio americana NPR, Cook ha spiegato che «Noi non raccogliamo tonnellate di informazioni sui nostri clienti per capire tutti gli aspetti della loro vita. Molto semplicemente, questo non è il nostro lavoro. Gli utenti hanno diritto alla loro privacy: i nostri clienti non sono il nostro prodotto. Invece, progettiamo i nostri apparecchi in modo che la privacy sia parte del prodotto e con la sicurezza integrata. Se ci pensate, alcuni dei nostri dati più personali sono sul telefono: informazioni di carattere finanziario, informazioni sanitarie, le conversazioni con i nostri amici, la famiglia e i colleghi». Tutte informazioni che secondo il capo di Apple devono restare private, e non messe in connessione con altre per creare profilo da vendere.

Apple lascia le informazioni degli utenti a loro disposizione in modalità crittografata senza conoscerne le chiavi per sbloccare da remoto il contenuto. A moltissime informazioni, anche richieste dall’autorità giudiziaria, Apple anche volendo non potrebbe rispondere. E molto spesso, a quelle poche le vengono fatte – anche dall’Italia, ma il Ceo di Apple non è autorizzato dagli accordi con i governi a rivelarne l’entità esatta, che comunque non supera la decina di richieste – vengono molto raramente autorizzate.

«Il nostro impegno per la tutela della privacy – ha detto Cook – nasce dal profondo rispetto che abbiamo per i nostri clienti. Sappiamo bene che la loro fiducia è preziosa. Per questo ci siamo sempre impegnati al massimo per guadagnarcela e mantenerla, e continueremo a farlo».

La polemica, meno che apparente, è con Google e Facebook, che invece hanno un modello di business molto diverso e utilizzano in molti modi le informazioni che raccolgono volontariamente (in modo più o meno esplicito) dai loro utilizzatori.

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