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Copyright, Posteraro: “Sospensione del regolamento? Tesi priva di fondamento”

Il commissario Agcom spiega cosa accade al provvedimento dopo le ordinanze del Tar e in attesa della pronuncia della Consulta: “Non è in discussione la legittimità delle norme, ma il quadro legislativo di riferimento. L’Autorità ha agito secondo la legge”

Pubblicato il 20 Ott 2014

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I due ricorsi al TAR volti ad ottenere l’annullamento del regolamento Agcom per la tutela del diritto d’autore on line sono stati basati sulle critiche formulate nell’ambito del dibattito d’opinione sviluppatosi sul tema, prima e dopo l’emanazione del provvedimento. La censura principale si appuntava sull’asserita carenza di una fonte di rango legislativo su cui potesse fondarsi la regolamentazione dell’Agcom, ritenuta quindi incompetente a disciplinare la materia. Si sosteneva inoltre che l’Agcom avesse usurpato funzioni proprie dell’autorità giudiziaria e che a causa del suo intervento si fosse verificato un indebito spostamento di competenze dalla magistratura ordinaria a quella amministrativa, con conseguente violazione del principio del giudice naturale. Ulteriori rilievi riguardavano, poi, la pretesa lesione del principio del contraddittorio e, non da ultimo, l’inosservanza del diritto dell’Unione europea.

Non una di queste argomentazioni è stata accolta dal TAR del Lazio. Le due ordinanze depositate il 26 settembre scorso hanno dimostrato e sancito l’infondatezza di tutti – sottolineo tutti – i motivi addotti dai ricorrenti a sostegno delle loro richieste. Il TAR ha giudicato insussistenti i vizi di illegittimità per violazione della riserva di legge, per incompetenza e per violazione di legge. Questo significa che l’intervento dell’Agcom è fondato su norme di legge vigenti; che queste norme attribuiscono all’Agcom la competenza a provvedere in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica; che, ancora, la disciplina da essa concretamente dettata con il regolamento costituisce attuazione corretta delle norme medesime.

Non basta. Il TAR ha ritenuto non configurabile anche la violazione della riserva di giurisdizione, con ciò negando che l’Agcom si sia indebitamente appropriata di poteri appartenenti in via esclusiva all’autorità giudiziaria. Ha spiegato che non si dà luogo a deroghe al principio del giudice naturale, che non ricorre alcuna violazione del contraddittorio e che risultano pienamente rispettati i canoni della partecipazione al procedimento dei soggetti interessati. Non ha aderito, infine, alla richiesta di sottoporre alla Corte di giustizia una ventilata ipotesi di inosservanza del diritto dell’Unione europea.

Il TAR non ha tuttavia rigettato i ricorsi, in quanto ha ritenuto di dover sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme di legge su cui si basa il regolamento dell’Agcom (questione che – sia detto per mere ragioni informative e senz’alcun intento polemico nei loro confronti – non era stata peraltro posta dai ricorrenti). Ci sarebbe da discutere, in verità, sulla configurazione riduttiva del diritto d’autore, contenuta nelle ordinanze, come diritto di natura essenzialmente patrimoniale. Prescindendo da ciò, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale potrebbe anche dare a quest’ultima l’occasione di pronunciarsi sul tema dei rapporti fra diritti e libertà nella rete. Tema la cui importanza non ha certo bisogno di essere sottolineata.

Ma sul significato e sulle conseguenze del rinvio alla Corte occorre fare chiarezza, sgombrando il campo dagli equivoci e dalle interpretazioni distorte e strumentali.

Il TAR – come si è detto – ha riconosciuto che l’Agcom ha applicato le leggi vigenti in maniera corretta ed esente da qualsiasi censura. Questa constatazione non è in alcun modo inficiata dalla circostanza che il medesimo TAR abbia dubitato della costituzionalità di quelle leggi. Il metro su cui si valuta l’operato di un organo amministrativo quale l’Agcom è infatti la legge, soltanto la legge. E mentre i giudici, se ritengono una legge viziata da incostituzionalità, possono provocare il giudizio della Corte costituzionale, gli organi amministrativi non dispongono di questo strumento e sono comunque tenuti, pertanto, ad osservare e ad applicare le leggi in vigore. Tanto più quando le leggi da applicare – come nel nostro caso il decreto legislativo n. 70 del 2003, su cui si fonda il regolamento Agcom – riproducono pedissequamente la normativa dell’Unione europea.

E’ quindi priva di ogni plausibilità la tesi – non a caso sostenuta dagli stessi ricorrenti e dai loro difensori – secondo cui l’Autorità dovrebbe sospendere l’applicazione del regolamento in attesa del giudizio della Corte. Del resto, la palese infondatezza di questa richiesta è dimostrata dal fatto che essa è stata respinta dallo stesso TAR che pure ha deciso di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale.

Ugualmente inattendibili, alla stregua del vigente quadro normativo, sono da considerare alcune ipotesi, formulate dopo il deposito delle ordinanze del TAR, volte a subordinare l’applicazione del regolamento ad analisi di impatto economico, limitando l’intervento dell’Agcom ai soli casi in cui si riscontri la sussistenza di un danno di rilevante entità. Le analisi economiche, com’è noto, sono funzionali alle regolamentazioni di natura proconcorrenziale. Qui ci troviamo, invece, in un campo del tutto diverso. Qui i poteri regolamentari attribuiti all’Agcom dalle norme primarie sono preordinati alla tutela di un diritto. E i diritti si tutelano a prescindere dall’entità economica della lesione.

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