FARE DIGITALE

Elio Catania: “Mobilitazione della leadership per vincere le resistenze”

Il presidente di Confindustria Digitale: “Abbiamo due Italie: quella che corre e ha capito l’importanza dell’innovazione, e quella che frena. Lo spirito di conservazione e corporativo
è ancora molto forte e fa ostruzionismo. Per cambiare serve l’esempio dei leader”

Pubblicato il 19 Giu 2015

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Crescere, investire, aumentare i margini e l’occupazione puntando tutto sull’innovazione: questo il new deal italiano secondo Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale. Un new deal che ha il suo ingrediente principale, anzi l’ingrediente per eccellenza nel digitale. Ma il cantiere Italia è ancora alla posa delle fondamenta e molto bisognerà fare per edificare la nuova Italia. “Oggi abbiamo due Italie, quella che corre e ha capito l’importanza dell’innovazione e quella che frena. L’ostacolo maggiore è rappresentato dalle resistenze alle novità. Lo spirito di conservazione e corporativo è ancora molto forte e fa ostruzionismo nei confronti dell’innovazione con l’immobilismo e a colpi di articoli sulla stampa, interpellanze parlamentari, ricorsi e denunce”, sottolinea Catania.
Presidente, la resistenza all’innovazione e al cambiamento è cosa nota in Italia. E abbattere le barriere è complicatissimo. Come fare?
Sembrerà retorica, ma la cultura dell’innovazione si crea soprattutto attraverso la convinzione, l’azione e l’esempio dei leader, tanto nel pubblico e come nel privato. In Italia esistono molte forme di resistenza e bisogna scardinarle tutte. C’è la resistenza dei piccoli imprenditori, che considerano il digitale come qualcosa di tecnico e non strategico. C’è la resistenza dei grandi manager che spesso si accontentano di vedere un pc per scrivania, affermando “come vede lo abbiamo già fatto”, una sindrome pericolosissima che oggi mette a rischio le imprese. C’è la resistenza dei board: sono pochi i consigli di amministrazione che si occupano di trasformazione digitale, della nuova concorrenza, e invece dovrebbe essere l’argomento numero uno perché il digitale consente di ridefinire il posizionamento strategico ai fini della crescita. C’è la resistenza dei regolatori: pensare di “stiracchiare” le vecchie regole adattandole al nuovo contesto rappresenta di fatto un blocco all’innovazione.
Tutti vogliamo il fair play field, non c’è neanche bisogno di dirlo, ma se usiamo le vecchie regole per imbrigliare il nuovo non approdiamo da nessuna parte. Siamo al paradosso che si cerca di bloccare la penetrazione di nuove applicazioni e start up innovative cercando di metterle fuorilegge. Un paradosso che va assolutamente contrastato. Quel che bisogna fare è pensare a norme ex novo che favoriscano la transizione. E last but not least, c’è anche la resistenza che si esprime nei media: basti pensare ai recenti articoli sul digitale che distruggerebbe posti di lavoro. Fare affermazioni così azzardate di certo non aiuta il Paese.
Perché?
È comprovato dalle molte esperienze e ricerche esattamente il contrario. Primo: in Italia mancano 200mila specialisti di nuove professioni digitali. Secondo: per ogni posto di lavoro creato dal digitale se ne creano quattro in settori adiacenti. Terzo: per ogni posto che la digitalizzazione elimina – e si tratta spesso di lavori di bassissimo profilo – se ne creano da due a quattro in altre professioni. Indubbiamente c’è una transizione da gestire che riguarda i giovani ma anche la fascia media della popolazione, ma da qui a dire che il digitale ammazza il lavoro ce ne vuole. Anche perché è ormai assodato che l’85-90% dei lavori di qui al 2020 sarà in chiave digitale. Insomma, lo scenario è chiaro, ora la politica industriale, pubblica e privata, deve intervenire per accelerare questo passaggio cruciale.
Come?
Mi ripeto: ci vuole una mobilitazione della leadership. La PA deve certamente dare l’esempio perché se innesca il circolo virtuoso nel pubblico a catena trascina anche gli altri settori. Questo dovrebbe il primo punto all’ordine del giorno del dibattito politico. I tecnici dell’Agid opereranno bene, siamo più che fiduciosi in tal senso, ma non basterà. Il tema del digitale riguarda la trasformazione e la crescita del Paese ed è per questo che fare politica industriale oggi significa smuovere i gangli della resistenza con regole nuove e con azioni incentivanti, mirate come ad esempio il credito di imposta per gli investimenti in innovazione o i voucher per l’inserimento nelle Pmi di giovani con profili digitali. Bisognerebbe eliminare i toni ideologici dai dibattiti su questi temi, tra cui la banda ultra larga. Le nuove reti vanno fatte, è chiaro. Il compito della politica è quello di fissare l’obiettivo, e fin qui ci siamo. A questo punto si mettano in campo le risorse e si lascino lavorare le imprese.
Le imprese, appunto. L’Italia è fatta perlopiù di Pmi. A che punto sono con la trasformazione digitale?
Ci sono certamente esempi virtuosi. Aziende che hanno capito che investire nel digitale evita il rischio della disintermediazione e consente di crescere. Chi è salito sul treno del digitale fattura fino al 20% in più all’anno. Quest’anno il comparto dell’Ict, stando alle previsioni di Assinform, metterà a segno un +1%. Per carità un segnale che si esce dalla decrescita, ma non mi emoziona, siamo ancora a cifre farmaceutiche. Quando si registreranno performance a due digit allora si potrà parlare di ripresa. Gli altri Paesi sono già al + 4% da anni, dobbiamo darci una mossa. Già adesso gli imprenditori che si sono dati da fare hanno toccato con mano i risultati. Fra l’altro il nostro tour nelle città italiane, che ha già toccato Trieste, Reggio Calabria e Napoli e arriverà a Firenze il 17 giugno, è un modo per ascoltare la voce delle imprese e per farci un’idea dello stato dell’arte. Il digitale deve entrare a pieno titolo nel vocabolario aziendale. Su questo stiamo riscontrando interesse e anche forte. Ma, come dicevo poc’anzi, ci sono ancora delle resistenze da abbattere.
In cosa consiste questo roadshow?
Il roadshow #Territoridigitali è un evento di informazione e formazione per gli imprenditori e gli amministratori delle aziende di piccole e medie dimensioni, in cui vengono presentati e discussi gli otto elementi tecnologici che possono favorire la crescita delle aziende: mobility, cloud computing, big ata&analytics, digital marketing, social enterprise, sicurezza, esternalizzazione e Internet of Things. Nel corso degli incontri vengono illustrati in concreto i passi che trasformano un’azienda tradizionale in un’azienda digitale e portate testimonianze dirette di imprese attive sul territorio interessato che hanno intrapreso con successo la trasformazione digitale della propria attività.

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