Lanzillotta: “Correggere gli errori del federalismo digitale”

La senatrice di Scelta Civica: “Regioni vitali, ma serve una regia unica”. E ricorda: “La standardizzazione del dato in capo al governo centrale è una garanzia di uguaglianza per i cittadini”

Pubblicato il 11 Giu 2014

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“È certamente positiva la vitalità dei territori sul fronte Agenda digitale. Ma per fare il salto di qualità che ci chiede anche l’Europa è necessaria una regia unica per creare finalmente una rete unica pubblica”. È la riflessione di Linda Lanzillotta, senatrice di Scelta Civica e vicepresidente del Senato.
Crede che il federalismo digitale abbia fatto il suo tempo?
Non dico questo. Dico, però, che bisogna correggere gli errori e le distorsioni di un federalismo digitale al quale sono state associate, a mio parere, troppe aspettative poi disattese.
A che che tipo di errori si riferisce?
Ad esempio la duplicazione di progetti che non hanno favorito l’interoperabilità. Per fare fronte a questo serve una grande impegno del governo centrale che passi per la consapevolezza che la leva dell’innovazione può innestare il cambiamento nonché aiutare a colmare il gap nel Paese, che non è più solo quello tra Nord e Sud. D’altronde gli strumenti ci sono.
Quali sarebbero?
Il titolo V della Costituzione è chiaro: la standardizzazione del dato spetta al governo centrale. E anche il Codice dell’amministrazione digitale va in questa direzione. Il punto su cui si deve insistere è il fatto che il cittadino deve poter accedere ai servizi da qualunque luogoe questo lo si fa solo se c’è un forte presidio al centro.
Qualcuno obietta che la standardizzazione del dato è la negazione dell’autonomia.
Guardi, la standardizzazione così come prevista dalla Costituzione è garanzia di uguaglianza per i cittadini. Uguaglianza che “salta” se non viene gestita a livello centrale. E questo principio acquista ancora più valore in vista dell’attuazione di due progetti chiave dell’Agenda ovvero l’identità digitale e l’anagrafe unica della popolazione residente.
In che senso?
Nel senso che una chiara identificazione su chi deve definire il dato – il governo centrale in qiesto caso – ne garantisce coerenza, accessibilità e interoperabilità i tre pilastri dei progetti abilitanti dell’Agenda.
Crede che le Regioni siano pronte a cedere “sovranità” digitale?
Quella sovranità loro non ce l’hanno, come recita la Costituzione. Detto questo mi auguro che il governo sappia frenare possibili gelosie amministrative ,valorizzando invece quanto di buono è stato fatto sui territori. A cominciare dal settore sanità: ci sono,ad esempio, Regioni i cui progetti relativi al Fascicolo sanitario possono essere ben considerati un benchmark.
Nella maggior parte dei casi le Regioni affidano funzioni determinanti alle società in house. Crede che questo possa contribuire a frammentare ulteriormente il panorama digitale italiano?
Il problema non è la loro esistenza quanto la modalità in cui operano ovvero l’affidamento diretto senza gara pubblica. Si tratta di una modalità che dà un vantaggio competitivo alla in house che poi si trova a competere con aziende private sul mercato, falsando in qualche modo la concorrenza. Credo che quello sia un settore dove intervenire prioritariamente.
Quali sono a sui avviso i progetti su cui il governo deve convincere le Regioni ad agire velocemente?
Il consolidamento dei data center. La frammentazione delle banche dati è un grande ostacolo all’interoperabilità nonché alla strutturazione di una Pubblica amministrazione “semplice” che, poi, è uno degli obiettivi della riforma della PA appena annunciata dal governo Renzi. L’esistenza di migliaia e migliaia di data center, inoltre, non facilita la transizione agli open data che sono il driver per un’amministrazione efficiente e trasparente.

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