ANTITRUST

Pitruzzella: “Uno statuto di Internet? Buona idea ma difficile da realizzare”

Il presidente dell’Antitrust si dice favorevole a una “carta” dei diritti sul web. Ma avverte: “Serve un intervento globale”. E per il presente fa appello alle “regole non scritte del principio di responsabilità”

Pubblicato il 19 Mag 2014

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“Internet è il regno dei conflitti fondamentali, occorrono regole urgenti. Sono favorevole alla proposta del presidente della Camera Boldrini per l’istituzione di uno statuto dei diritti su Internet”. Lo afferma Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, secondo cui “tutto questo però ad eccezione dei profili penalistici non puo prescindere da un intervento globale”. Per il Garante della Concorrenza, tuttavia, è “difficile che si riuscirà a cristallizzare una normativa in merito” perché “il giurista dovrà trovare nuovi equilibri a cui si aprono territori sconfinati”. Dunque, Pitruzzella fa “appello prima di tutto alle regole non scritte al principio di responsabità a volte più importante del diritto per il rispetto della dignità di tutti gli individui”.

Nei giorni scorsi il presidente della Camera Laura Boldrini aveva auspicato l’elaborazione di una “Costituzione del Web” sulla scia di quando fatto in Brasile con il varo del “Marco civil da internet”, la legge che assicura la neutralità di Internet e soprattutto garantisce il rispetto della privacy degli utenti brasiliani.

Il Marco Civil contiene specifiche disposizioni sulla cosiddetta neutralità della Rete, ovvero il principio secondo cui non devono esserci discriminazioni di prezzo a seconda del tipo di contenuti a cui un certo utente vuole accedere. All’articolo 9, in particolare, si dice che “Il responsabile della trasmissione, commutazione o instradamento è tenuto a riservare a tutti i pacchetti di dati lo stesso trattamento, indipendentemente dal contenuto, origine o destinazione, servizio, terminale o applicazione”.

Niente ruolo da sceriffi dei provider, che non sono tenuti a vigilare ex ante sui contenuti che vengono pubblicati, ma sono soltanto tenuti ad “oscurarli” in specifici casi e su ordine di un magistrato. L’articolo 19 afferma infatti che “Allo scopo di garantire la libertà d’espressione e impedire la censura, il fornitore di applicazioni di Internet può essere ritenuto civilmente responsabile per i danni derivanti dai contenuti generati da terzi soltanto qualora, a seguito di una specifica ordinanza giudiziaria, non prenda provvedimenti, nell’ambito e nei limiti tecnici del proprio servizio ed entro il termine prescritto, per rendere inaccessibili i contenuti individuati come illeciti”. Inoltre, niente sequestri a pioggia, di insiemi di pagine, ma viene richiesta “l’identificazione chiara e specifica del contenuto individuato come illecito, onde consentire la localizzazione del materiale senza margine di dubbio”.

Le modalità di raccolta, memorizzazione, conservazione ed elaborazione di log, dati personali o comunicazioni, ove siano coinvolti cittadini brasiliani, devono rispettare le leggi nazionali. Questo è vero anche “se a realizzare le attività è una persona giuridica con sede all’estero, a condizione che offra un servizio al pubblico brasiliano, o almeno che una componente dello stesso ente economico possieda un’attività in Brasile”. Si vuole così impedire che società come Google o Facebook, per giustificare modalità di trattamento dei dati alquanto elastiche, si possano appellare alla molto più permissiva normativa americana in materia, sostenendo appunto che i dati si trovano su server collocati oltreoceano. Si tratta di una disposizione importante in linea di principio, che però potrebbe non rivelarsi molto semplice da far osservare, in assenza di adeguati strumenti di controllo e sanzione.

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